venerdì 24 novembre 2006
L'uomo più potente è colui che sa fare da sé il meno possibile, ma sa far fare agli altri il massimo possibile di tutto ciò a cui poi darà il proprio nome e ne incasserà gli utili. Non è la prima volta che ricorro a un'opera piuttosto godibile di un filosofo della cosiddetta «Scuola di Francoforte»: si tratta dei Minima moralia, pubblicati nel 1951 da Theodor W. Adorno (1903-1969), una critica severa e ironica dell'attuale società di massa. Ho ripreso in mano oggi quel libro e ho scelto la prima nota che mi è venuta incontro. Il tema è evidente: lo sfruttamento dell'altro è una scelta sistematica di tante forme di potere. Naturalmente questo atteggiamento può essere plateale nelle dittature; ma allora gli esiti sono piuttosto limitati perché il suddito boicotta, sottilmente e fin dove gli è possibile, l'oppressione. Più abili sono coloro che riescono a coinvolgere lo sfruttato, blandendolo o facendogli balenare dimensioni gloriose celate nel suo lavoro, così da poterne poi approfittare in modo apparentemente pulito e con tonalità "sociali". Ecco, il verbo giusto, che non vale solo per i potenti ma per tante persone di ogni genere e classe sociale, è proprio questo: «approfittare». Il termine è di sua natura ambiguo perché di per sé può indicare anche l'avvalersi delle competenze di un altro. Ma normalmente è solo la registrazione di un abuso, di uno sfruttamento appunto. Talora un po' tutti ci orientiamo - sia pure nel piccolo - verso questa astuzia, servendoci di un'altra persona per raggiungere i nostri scopi. E, invece, una persona non dovrebbe mai essere un mezzo, ma solo il fine di un rapporto, di un dialogo, di una collaborazione.
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