martedì 21 dicembre 2004
Non voglio che la gente sia troppo simpatica: questo mi risparmia il disturbo di volerle molto bene. Mi fido del lettore di Treviso che mi ha inviato queste righe attribuendole a una lettera della scrittrice inglese Jane Austen (1775-1817), sì, quella di Orgoglio e pregiudizio, un romanzo in passato molto letto come ritratto di una società nella complessità delle sue relazioni, divenuto anche un vecchio film (1940) e ora del tutto dimenticato. L'idea è interessante: che la gente sia antipatica ci dispensa dall'impegnarci per intessere rapporti con essa. È una sorta di alibi che abbiamo per ignorare il prossimo. Bisogna riconoscere che ci sono persone che operano attivamente per rendersi insopportabili e crearsi attorno una cortina di isolamento. Detto questo, si deve però richiamare a noi stessi - se siamo cristiani - il celebre monito evangelico. Esso è un'applicazione del principio arduo dell'amare anche il nemico: «Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete?" E se date il saluto solo ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario?» (Matteo 5,46-47). Ma c'è anche un'altra considerazione più umana da fare: la simpatia o l'antipatia sono contagiose. Allora, se voglio mutare il clima avvelenato delle relazioni, devo reagire in modo antitetico. Per spiegare questo atteggiamento ricorrerò anch'io a uno scrittore inglese, William M. Thackeray (1811-1863), a cui lascio la conclusione: «Il mondo è come uno specchio che a ciascuno restituisce la sua immagine: fategli il broncio e vi guarderà male, ridete di lui e con lui, e sarà per voi un gioviale e cortese compagno» (nel romanzo La fiera delle vanità). Forse anche la superficiale "concordia" del periodo natalizio può essere, al riguardo, positiva"
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