sabato 4 maggio 2019
Che la giustizia – parliamo di quella umana – abbia i suoi limiti non è una scoperta di oggi. A prescindere infatti dalle manipolazioni e dalle vere e proprie iniquità delle quali il legiferare è succube nei regimi fortemente ideologizzati, il paradosso di una giustizia strutturalmente incapace di essere davvero giusta è una nozione conosciuta da sempre. Una realtà che già gli antichi romani riassumevano nel proverbio Summum ius, summa iniuria, che appunto fa coincidere il massimo della giustizia con il massimo dell'ingiustizia, a significare che – secondo la definizione della Treccani – l'uso rigoroso e indiscriminato di un diritto o l'applicazione rigida di una norma possono diventare un'ingiustizia.
È qualcosa di cui sarebbe bene che tutti fossimo sempre consapevoli, così da non avere sorprese. Perché, come ha ricordato qualche giorno fa papa Francesco, «nella vita non tutto si risolve con la giustizia». Anzi, «soprattutto laddove si deve mettere un argine al male qualcuno deve amare oltre il dovuto, per ricominciare una storia di grazia. Il male conosce le sue vendette, e se non lo si interrompe rischia di dilagare soffocando il mondo intero». Parlava del Padre Nostro, Bergoglio, e rifletteva sull'espressione «come noi li rimettiamo ai nostri debitori» che segue l'invocazione «Rimetti a noi i nostri debiti»: «Non esistono nella Chiesa self made man, uomini che si sono fatti da soli. Siamo tutti debitori verso Dio e verso tante persone che ci hanno regalato condizioni di vita favorevoli». E poi, «per quanto ci impegniamo a vivere secondo gli insegnamenti cristiani, nella nostra vita ci sarà sempre qualcosa di cui chiedere perdono: pensiamo ai giorni trascorsi pigramente, ai momenti in cui il rancore ha occupato il nostro cuore, e così via...».
Eppure quante volte ci diciamo incapaci di perdonare, o non disposti a farlo? Qui si entra in una spirale, perché « se tu non perdoni Dio non ti perdonerà». Per cui, «pensiamo se siamo capaci di perdonare: "Padre, io non ce la faccio perché quella gente mi ha fatto tanto male", ma se tu non ce la fai chiedi al Signore che ti dia la forza di perdonare». È la forza del messaggio di Gesù: «Amore chiama amore, perdono chiama perdono... perché se non ti sforzi di perdonare, non verrai perdonato; se non ti sforzi di amare, nemmeno verrai amato». Gesù infatti «inserisce nei rapporti umani la forza del perdono. Nella vita non tutto si risolve con la giustizia. Soprattutto laddove si deve mettere un argine al male, qualcuno deve amare oltre il dovuto, per ricominciare una storia di grazia. Il male conosce le sue vendette, e se non lo si interrompe rischia di dilagare soffocando il mondo intero».
«Alla legge del taglione, quello che tu hai fatto a me, io lo restituisco a te – ha detto ancora il Papa – Gesù sostituisce la legge dell'amore: quello che Dio ha fatto a me, io lo restituisco a te!». Nel tempo che segue la Pasqua, Francesco spinge ciascuno a pensare «oggi se io sono capace di perdonare, e se non mi sento capace chiedo al Signore che mi dia la grazia di perdonare. Dio dona a ogni cristiano la grazia di scrivere una storia di bene nella vita dei suoi fratelli, specialmente di quelli che hanno compiuto qualcosa di spiacevole e di sbagliato. Con una parola, un abbraccio, un sorriso, possiamo trasmettere agli altri ciò che abbiamo ricevuto di più prezioso: il perdono». E colmare così i vuoti e i limiti di una giustizia umana che non potrà mai essere perfetta.
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