Appena scendi dalla soglia di una prigione guardi in alto: guardi il cielo" Ero libero e non ne sentivo nessuna soddisfazione" Individuavo come una specie di nostalgia dei giorni trascorsi uguali, lenti, pieni di noia e di sonnolenza nelle celle delle prigioni. Cercai di capire perché soffrivo di quei sentimenti e mi parve d'intendere una specie di vuoto. Oh! Sì, ero più ricco tra quelle mura brevi e senza scampo; là c'era qualche cosa in me che ora si è già dileguato.
Nella festa della Repubblica abbiamo voluto proporre un viaggio a ritroso in quei giorni ormai lontani, nelle vicende drammatiche che precedettero quell'evento. Lo abbiamo fatto con le parole di uno scrittore significativo, Guglielmo Petroni (1911-1993), tratte dal suo libro autobiografico Il mondo è una prigione (Feltrinelli). Conosco la moglie e il figlio Paolo di questo autore e so quanto dura fu l'esperienza del loro caro incarcerato nel 1944 nella terribile prigione nazifascista di via Tasso a Roma, le cui stanze erano colme delle urla dei torturati. Passato poi a Regina Coeli, Petroni fu liberato solo per l'arrivo degli Alleati.
Eppure le sue parole fanno comprendere almeno due verità. L'uomo può adattarsi a tutto e, se ha una coscienza vigile, può tener alta la fiaccola della sua libertà anche in mezzo agli aguzzini. Essi gli possono strappare la pelle, squarciare la carne ma non riescono a rubargli l'anima, gli ideali, la dignità. L'altra verità è che, usciti nel mondo cosiddetto libero, ci si accorge che si corre il rischio di cadere in un'altra, più pericolosa prigione dorata (si noti il titolo del libro!), ove paradossalmente è più difficile conservare la coerenza, la libertà, la lotta al compromesso. È questo il rischio che continuiamo a correre. «La statua della libertà non è mai fusa del tutto, il forno è rovente e ci si può scottare le dita» (G. Büchner).
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