Alissa Jung mette padre e figlia allo specchio
Alta, bionda e ossuta, una giovane adolescente guarda l’orizzonte nuovo di un mare italiano
Alta, bionda e ossuta, una giovane adolescente guarda l’orizzonte nuovo di un mare italiano. Lei è tedesca, la vediamo di spalle mentre scruta quel panorama all’alba, impaurita e attratta da un mondo di cui nulla sa. Prima l’abbiamo vista viaggiare in treno, furtiva, quatta a nascondersi, senza soldi, in tasca solo il cellulare con cui mandare alla madre, ignara a Monaco, messaggi pieni di bugie per nascondere la sua fuga all’estero. E tuttavia non è una fuga la sua. Un ritorno piuttosto, a una radice ignota quanto necessaria, a un nodo che è diventato imperativo poter conoscere, probabilmente non sciogliere, ma certo: toccare. In Italia c’è il padre della ragazza, un uomo che quella figlia non solo non l’ha riconosciuta, nemmeno mai l’ha accudita, accolta: vista. Un estraneo al quale presentarsi e dire: eccomi, sono tua figlia. Con i rischi di dolore e fallimento che un’impresa del genere porta con sé, rischi scelti a quindici anni per di più, un’età in cui capire chi si è brucia in ogni caso, in cui il mondo “fuori”, degli altri, tante volte è un inferno. Matura, determinata, audace quanto fragilissima, Leo, la ragazza (Juli Grabenhenrich), sembra avere considerato ogni dettaglio.
Andare a vedere chi è suo padre: con una grazia intrisa di selvaggio tumulto affronta il suo viaggio e le conseguenze che porterà. Un viaggio iniziatico, e non per la ragazza soltanto. La parte più riuscita di Parental leave, film d’esordio della tedesca Alissa Jung, è il racconto della dinamica tra i due, padre e figlia. Tra attrazione e rifiuti, il germe di un amore che tra strappi e inclemenze cercherà gesti e parole per dirsi, balbettarsi, nella testa prima, poi nel corpo e nel cuore. Luca Marinelli è molto bravo a inscenare le goffaggini e le insicurezze di una figura maschile irrisolta, ancora alla ricerca di sé, tra affermazioni professionali mancate e tante occasioni perse, compresa quella della paternità (è padre di nuovo, con una donna dalla quale questa volta non è fuggito, ma che non sa amare). Come fossero in uno specchio, figlia e padre guatandosi prendono a procedere insieme. Ognuno confuso in stesso dilemma interno tra l’amare, accogliere il turbine di emozioni di quell’essersi trovati, o invece lasciar vincere la rabbia, l’offesa, per lui, un senso di immane inadeguatezza. Intenso, credibilissimo, il nervo scoperto di questa relazione è un incontrarsi costellato di “disincontri”.
Intorno, il paesaggio rarefatto di una riviera romagnola spenta e noiosa, e personaggi secondari che poco regalano in più alla vicenda. La tensione d’amore tra padre e figlia, quella invece resta nel cuore, al di là di un finale che giustamente non chiude cerchi. Va attraversata una tempesta per rompere gli argini di un amore che incomincia se anche pulsa dentro da sempre. Affrontare memorie, oblii, silenzi che sono stati intollerabili. Senza condannare e senza perdonare, in quella tempesta, guardarsi.
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