L'INGENUITÀ
L'ingenuità è una forza che gli astuti hanno torto di disprezzare.
Di solito, coloro che hanno un grande spirito l'hanno ingenuo.
Ho appaiato due citazioni di autori diversi. La prima è del nostro scrittore Arturo Graf (1848-1913) ed è desunta dal suo Ecce homo; la seconda risale al grande Montesquieu, filosofo e letterato del Settecento, ed è tratta dai suoi Quaderni. Entrambe le osservazioni s'annodano attorno a un unico tema, l'ingenuità. Certo, Graf, ci fa supporre che sia facile disprezzare questa caratteristica e ne siamo tutti
ora vittime ora carnefici, quando cadiamo in atti spontanei e un po' sprovveduti o quando
sbeffeggiamo qualche persona troppo candida. Si dice che la frase O sancta simplicitas! sia stata pronunciata dal riformatore boemo Jan Hus, vedendo un contadino condannato al rogo che, nel 1415 a Costanza, aiutava a sistemare e aggiungeva fascine alla pira sulla quale doveva salire"!
Eppure ha ragione Montesquieu quando accosta ingenuità a grandezza d'animo. Forse bisogna cambiare sostantivo e, sulla scia del significato latino originario, parlare piuttosto di sincerità, schiettezza, innocenza. Queste sono, infatti, doti e non carenze e rivelano una nobiltà d'animo, una dignità spirituale, una coerenza che non ha nulla a che spartire con la sventatezza, la sprovvedutezza, la dabbenaggine. Per questo, ritrovare la naturalezza sincera in un mondo così artefatto come il nostro è una scelta di moralità e di autenticità. Certo, si può correre il rischio di essere penalizzati, ma è ben più alta come ricompensa la serenità della coscienza, la coerenza e la limpidità interiore. Il vero «ingenuo» non è un sempliciotto ma una persona «in cui non c'è falsità» come il Natanaele del Vangelo di Giovanni (1, 47).
Di solito, coloro che hanno un grande spirito l'hanno ingenuo.
Ho appaiato due citazioni di autori diversi. La prima è del nostro scrittore Arturo Graf (1848-1913) ed è desunta dal suo Ecce homo; la seconda risale al grande Montesquieu, filosofo e letterato del Settecento, ed è tratta dai suoi Quaderni. Entrambe le osservazioni s'annodano attorno a un unico tema, l'ingenuità. Certo, Graf, ci fa supporre che sia facile disprezzare questa caratteristica e ne siamo tutti
ora vittime ora carnefici, quando cadiamo in atti spontanei e un po' sprovveduti o quando
sbeffeggiamo qualche persona troppo candida. Si dice che la frase O sancta simplicitas! sia stata pronunciata dal riformatore boemo Jan Hus, vedendo un contadino condannato al rogo che, nel 1415 a Costanza, aiutava a sistemare e aggiungeva fascine alla pira sulla quale doveva salire"!
Eppure ha ragione Montesquieu quando accosta ingenuità a grandezza d'animo. Forse bisogna cambiare sostantivo e, sulla scia del significato latino originario, parlare piuttosto di sincerità, schiettezza, innocenza. Queste sono, infatti, doti e non carenze e rivelano una nobiltà d'animo, una dignità spirituale, una coerenza che non ha nulla a che spartire con la sventatezza, la sprovvedutezza, la dabbenaggine. Per questo, ritrovare la naturalezza sincera in un mondo così artefatto come il nostro è una scelta di moralità e di autenticità. Certo, si può correre il rischio di essere penalizzati, ma è ben più alta come ricompensa la serenità della coscienza, la coerenza e la limpidità interiore. Il vero «ingenuo» non è un sempliciotto ma una persona «in cui non c'è falsità» come il Natanaele del Vangelo di Giovanni (1, 47).
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