È lunedì. "Mi affido alle tue mani" per stare vivo (e risorto)
Forse tanti nostri affanni derivano dalla distanza creata tra i nostri gesti ordinari e un corpo vivo, magari un corpo tremante

Dulcinea, il mio cane, entra di corsa mentre io, inginocchiato davanti al crocifisso tento di pregare, lei trema, mi cerca, chiede rifugio tra le mie braccia, ha paura. Non so cosa abbia visto, non so cosa le sia successo, probabilmente l’incontro ravvicinato e inaspettato con qualche animale selvatico, non so e non lo saprò mai, so solo che la mia mano si apre naturalmente, e piano, e con grazia, e inizia ad accarezzarle il pelo, lentamente, e lei rimane e si lascia fare, diventa piccola sulle mie ginocchia e rimane lì, come su una zattera di salvataggio, come avesse trovato lo spazio per poter continuare a vivere.
Intanto gli occhi scorrono le righe dei salmi della giornata nel tentativo di risvegliare il cuore alla preghiera, mentre la mano destra continua il suo rosario di carezze all’animale impaurito esplode nei miei occhi una passaggio del salmo 30, è come una piccola illuminazione: “Mi affido alle tue mani…”.
Di colpo mi sento come Dulcinea, sento fisicamente che ho bisogno della carezza di Dio su di me e in quell’attimo mi pare di percepire anche tutta la felicità di un Dio che finalmente può permettersi di aprire le sue dite e perdersi in un mare di carezze d’affetto per la sua creatura. Sentirsi cercati è commovente. Mentre questo piccolo inutile indispensabile gesto si compie in una casa dispersa tra i monti dell’Appennino la mia preghiera si apre al pensiero per tutte le mani che come fiori stanno sbocciando in ogni parte del mondo.
È lunedì e milioni di mani sono ingranaggi per tenere in vita la complessità dell’esistere, mani che stringono, spingono, aprono, mani che digitano messaggi sui telefoni, mani che curano, mani che guidano, mani che stringono altre mani, mani sicure e mani impaurite, mani che accolgono vite nuove e mani che scivolano via per l’ultima volta… “mi affido alle tue mani”.
Forse tanti nostri affanni derivano dalla distanza creata tra i nostri gesti ordinari e un corpo vivo, magari un corpo tremante, un corpo bisognoso da accudire, forse tanti nostri affanni derivano dal fatto che non sentiamo più distintamente che qualcuno si affida anche alle nostre mani. Penso sarebbe salvifico per ognuno di noi percepire distintamente che ogni gesto appassionato sul mondo non è altro che il nostro tentativo per rendere affidabile l’esistenza, atto di fede. Nella trama infinita di mani che provano a ripetere l’infinito tentativo di tenere in vita la vita ci siamo anche noi, con il nostro piccolissimo tentativo di carezza. Ci siamo anche noi, e siamo divini, siamo segno visibile di un Invisibile che dal cuore del Mistero prega la sua creatura: “mi affido alle tue mani” per stare, vivo e risorto, nella trama della città degli uomini.
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