Ho sussultato al profumo del tiglio
Ho parcheggiato l’auto in una via grigia della periferia di Milano, andavo di fretta
Ho parcheggiato l’auto in una via grigia della periferia di Milano, andavo di fretta. Ma ho fatto due metri, e ho sussultato. Cos’era? Tiglio. Profumo di tiglio in fiore, acuto e dolcissimo. Roba di fine maggio e inizio giugno. Profumo di fine della scuola, una volta, e ancora oggi, nelle piazze italiane. È incredibile come l’olfatto, a un segnale da nulla, parli direttamente al cuore. Come l’odore dell’erba tagliata, che mi commuove anche dalle magre aiuole di Milano, e vuole dire: primavera. Ma dunque quel tiglio che mi ha fatto fermare, nella premura di una mattina, per un istante. Era un solitario tiglio in un’aiuola disadorna, accanto a una grande caserma con il filo spinato sopra ai muri. Ho guardato le infiorescenze in boccio, e me ne sono rallegrata. Poi, in attesa in un ospedale, ho lasciato correre i ricordi. C’erano dei tigli, vicino alla mia scuola elementare. Così neri e spogli d’inverno i rami, che sembravano morti. Ma avevo imparato ad aspettare. A fine marzo, da quel nero spuntavano i primi germogli, di un verde chiarissimo. Con le piogge di aprile le foglie si allargavano, fino a fare una cupola fitta, viva, ondeggiante al vento dei primi temporali. E quando cominciava a fare caldo e nell’aula entrava dalle finestre spalancate un moscone ozioso che volava e volava, inseguito dagli occhi di trenta bambine, era l’ora. Il profumo del tiglio prendeva ad allargarsi nell’aria, al sole di mezzogiorno: quasi un elisir. Era il profumo della fine della scuola, delle pagelle, dei saluti. E davanti al portone arrivava, puntuale, il carrello dei gelati, che allora non si mangiavano tutto l’anno. E il cono di fragola e limone aveva un sapore straordinario: era l’estate, le vacanze, il mare. Poi la scuola chiudeva i battenti,io un po’ immalinconita nell’immaginare le aule silenziose e vuote, e i nostri disegni appesi ai muri, ma nessuno a guardarli; e sulla lavagna ancora, col gesso bianco, le ultime parole tracciate. Cominciavo, bambina, a intuire il tempo che passa, quella gran forza che lenta e invisibile ci trasforma: e ne avevo un principio di paura. Mi confortavano i tigli, che ogni anno a gennaio parevano proprio morti per sempre: eppure a marzo ributtavano, sempre, quei teneri getti. Per questo l’altra mattina, così tanti anni dopo, ho sussultato a quel profumo: ricordati, mi veniva detto, ricordati dei fiori del tiglio, che rinascono ogni anno, come dal nulla, fedeli.
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