«El sciùr prevòst» che c’era sempre

Quella parola, “prevòst”, detta così, alla francese, la si sentiva ancora pronunciare a Milano, non molti anni fa
May 11, 2025
Quella parola, “prevòst”, detta così, alla francese, la si sentiva ancora pronunciare a Milano, non molti anni fa. Io la ascoltavo da mia suocera, classe 1929, nata alla Cagnola, nobile periferia operaia della città. «El sciùr prevòst», diceva ancora a 80 anni, con la pacata sicurezza di chi parla di qualcosa che c’è da sempre, che non potrebbe non esserci, come le guglie del Duomo. Parlo, preciso, di una Milano scomparsa: non più operai, non più tute blu in corteo, non più classi di 35 bambini, né cortili di case di ringhiera dove il rimbalzare di un pallone ritmava il pomeriggio. Tutto questo non c’è più, o quasi. Il sciùr prevòst, di questa Milano, era una colonna. Girava in talare, e già il fruscio di quella lunga veste nera intimidiva noi bambini. Il prevòst era spesso severo, e però anche familiare. Il primo ad arrivare nelle case, nel lutto. Capace tuttavia anche, tolta la veste, di dare due calci al pallone, all’oratorio. Il prevòst era un sacerdote, cioè un consacrato a Dio, cioè altro dai nostri genitori e professori. Da bambina lo vedevo trattato con devozione, e con un certo rispetto perfino dai comunisti arrabbiati. Quando entrava in una casa con la stola viola al collo, ci si fermava. Quando guidava un funerale, la gente per strada si segnava. Il prevòst, alla francese – spagnoli, francesi, poi austriaci, tutti sono passati per Milano – era un fulcro: la famiglia, la scuola, la maestra e il parroco. La domenica la Messa, e poi il Milan e l’Inter, dalle radioline in bar pieni di fumo. E mattine di nebbia tosta, da non vedere a un passo – la nebbia da riscaldamento a carbone che cancellava Milano, così che pareva di essere in una città immaginata, e dissolta. Ma il sciùr prevòst c’era sempre. Impensabile una parrocchia senza di lui, che ogni mattina alle sette celebrava, nella chiesa ombrosa e semivuota. Per questo il cognome del nuovo Papa mi ha provocato un’immediata tenerezza e fiducia: Prevost, come quegli uomini che ho conosciuto, da piccola, dentro a un mondo poi travolto dal 1968, dal divorzio, dall’aborto, dal culto della libertà individuale e illimitata. Ci sono ancora i parroci a Milano, grazie a Dio, ma li chiamano don Mario o don Gianni: e se vedessi una talare per strada sarei sbalordita. Altri mondi, e la nostalgia è una passione inutile. Però la nota familiare che all’annuncio in San Pietro mi ha toccato, quella parola francese, è stata come risentire una canzone cara, che da tanto tempo non ascoltavi. 

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