Su ogni tg ogni sera vedi cose terribili: e altre ancora, da Mosca, da Israele, da Hamas ne promettono. Assistiamo sbalorditi a violenze che non avremmo creduto possibili. Anche io, certi giorni, ne scrivo. E se non ne scrivo comunque avverto addosso questa cappa di guerra. Forse bisognerebbe non scrivere d'altro. Chiedo scusa perciò se oggi parlo invece di un momento lieto. Una cosa da nulla. Che però mi ha portato a sorridere. E sorridere, oggi, è un dono. Dunque sul lettone, in una silenziosa domenica pomeriggio, siamo in quattro: io, Apache e Odino – che sono gatti – e mio nipote Giovanni, 9 mesi. Un meticciato. Interessante. Sperimentale. Da che Giovanni ha preso a gattonare, i quadrupedi di casa lo osservano con interesse nuovo. Quando arriva il bambino vedo la perplessità nei loro occhi splancati. Sul letto dorme Odino, una pantera rossa, un bandito. Socchiude appena le palpebre, soppesa per un istante il nuovo venuto. Chiunque sia, decide, non è pericoloso: richiude i suoi occhi d’oro. Apache, gigante buono, è più curioso. Fissa sbalordito il bambino che gli si avvicina. Non ne ha paura. Ma, che animale è?, sembra domandarsi. Non è un umano: gli umani sono bipedi. Va a quattro zampe: un nuovo gatto forse? No, impossibile, sembra concludere Apche: non ha la coda.Ora i due si fronteggiano. Si studiano. Giovanni, inevitabilmente, allunga la mano alla coda. Apache la ritrae: giù le mani. Il bambino accarezza la testa del gatto (“Piano, dolcemente”, gli insegno io). Apache lascia fare. Qualunque animale sia quello, sembra convincersi, è un cucciolo: sa di latte. Chiunque sia , è il benvenuto.Nella domenica pigra io in mezzo ai tre, curiosa e commossa. Mi sento come in un libro di Konrad Lorenz, dove la taccola neonata identifica la prima creatura che vede come mamma: che sia un’oca, o un etologo barbuto. I segni del mondo animale si incrociano davanti a me con quelli di un bambino piccolissimo. A questa età, bambini e gatti hanno qualcosa in comune: una innocenza, un candore. Vogliono essere accarezzati e tenuti in braccio. I miei gatti si accoccolano in una scatola di cartone, vicini, come ancora nella pancia della mamma. Anche i bambini piccoli si addormentano subito, stretti alla madre in quelle fasce che oggi copiamo alle mamme africane. Ora Giovanni attacca discorso. Ba ba, ga ga. Apache lo guarda stupefatto. Io un po’ di italiano lo capisco, sembra dirsi, ma questo, che lingua parla? Che singolare dialogo nel silenzio di una domenica in pace. Io, zitta, ascolto. Bellissimo. Come una musica antica, un’eco di caverna originaria – calda, e perduta. Vicina all’Eden, forse.
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