Suicidio assistito, legge avanti adagio

Il Senato riprende l'esame a gennaio. I relatori Zanettini e Zullo spiegano i complessi nodi da sciogliere in attesa di un nuovo verdetto della Corte
December 10, 2025
Suicidio assistito, legge avanti adagio
Uno dei punti più problematici della legge all'esame del Senato è il ruolo del Servizio sanitario nazionale/ WEB
La legge sul fine vita che depenalizza, in casi estremi, l’aiuto al suicidio tornerà in aula, al Senato ai primi di gennaio. Il lungo dibattito nelle commissioni sul disegno di legge approvato il 2 luglio scorso dalla maggioranza, è proseguito fino al mese scorso. La pausa per la sessione di bilancio è finalizzata anche ad attendere la sentenza della Corte Costituzionale che, entro l’inizio dell’anno, dovrebbe pronunciarsi sul ricorso del Governo contro la legge toscana approvata in febbraio, dopo che anche la Sardegna Regioni ha legiferato (in settembre) e altre annunciano di volerlo fare.
Ieri “Le prospettive del fine vita” sono state al centro di un confronto a Palazzo Valentini, nell’aula consiliare della Provincia di Roma, in collaborazione con l’Unione dei Giuristi Cattolici, al quale hanno preso parte i due relatori del disegno di legge, Pierantonio Zanettin (Forza Italia) e Ignazio Zullo (Fratelli d’Italia) che hanno anche confermato l’intenzione della maggioranza di andare avanti, senza cedere alle pressioni e alle valutazioni di chi – per ragioni opposte – preferirebbe che una legge non intervenga in materia, nonostante i pronunciamenti della Consulta che a più riprese l’hanno sollecitata.
«La sentenza 242 del 2019 è auto-applicativa – ha ricordato Zanettin –. Già 15 persone che hanno aiutato a porre fine alla vita di altre persone, in stadio terminale, sono state dichiarate non punibili. Per ragioni opposte c’è chi una legge non la vuole perché rischiosa e chi, come Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni, non la vuole perché è meglio così, ci conferma nell’idea che una legge equilibrata serva».
Sono quattro, come noto, i “paletti” indicati dalla Consulta. Innanzitutto il fatto che il malato sia pienamente in grado di intendere e di volere. «Un consenso che sia attuale», raccomanda il presidente dei Giuristi cattolici italiani, Damiano Nocilla, dal momento che «nel 40% dei casi chi, magari in un momento di scoraggiamento, ha chiesto di essere aiutato porre fine alla propria vita, ci ha ripensato». Poi, l’insopportabilità delle sofferenze; la prognosi infausta e irreversibile; e, infine, la dipendenza da macchinari per il sostegno vitale. «E se ne aggiunge di fatto un quinto, l’accesso alle cure palliative», ricorda Zanettin. Non un obbligo, che violerebbe la libertà di cura: il testo ora all’esame del Senato richiede che il paziente sia «inserito in un percorso», con tutti i problemi del caso per le zone in cui l’accesso è sottoposto a crudeli liste di attesa o impossibile per la scarsità o l’assenza di hospice.
La valutazione della sussistenza dei criteri viene ora affidata all’istruttoria di comitati territoriali, ma il giudizio conclusivo resta affidato, per ragioni di uniformità, a un comitato nazionale. Tema controverso. Mariapia Garavaglia, ex ministro della Sanità, pur ammettendo tutte «le difficoltà di un testo legislativo che incrocia le questioni antropologiche», invoca «meno burocrazia», ed è anche contraria a tener fuori il Servizio sanitario nazionale, valorizzando il possibile ricorso all’obiezione di coscienza. Zanettin e Zullo invece difendono la scelta, non trattandosi di un diritto da garantire. Ma c’è la diffusa convinzione che questo tema, al centro ancora del dibattito nelle Commissioni di Palazzo Madama, possa essere affidato – alla fine – al voto segreto che con tutta probabilità, se richiesto, sarà accordato trattandosi, in punto di regolamento, di questioni di coscienza.
Il Germania, in assenza di una legge e con la sola sentenza della Corte Costituzionale di Karlsruhe a stabilire i riferimenti legali, prevale – come per il recente caso delle gemelle Kessler – il solo principio di autodeterminazione. «Noi invece lo abbiamo contemperato con il diritto alla vita – ricorda Zullo –, e su indicazione della Consulta abbiamo posto l’articolo 1 come preminente, perché da esso dipendono tutti gli altri diritti della persona: ma è necessaria una protezione sociale alla sofferenza su cui siamo in notevole ritardo, insieme agli enti locali».
«Nel nostro ordinamento non esiste, né può esistere un diritto al suicidio», ricorda il magistrato Stefano Amore, direttore di “Nova itinera”. Resta la paura, però, che la legge possa essere utilizzata, per carenza di percorsi solidali, come “apripista” di percorsi eutanasici. «Tuttavia – dice il vice presidente emerito della Consulta Giulio Prosperetti – la Consulta offre una solida “cintura di salvataggio”». Don Riccardo Mensuali, segretario della Pontificia Accademia per la Vita, si è posto la domanda sul da farsi per i politici cattolici laddove nel testo da approvare emergano aspetti iniqui e non condivisibili: «La Dottrina sociale si pone il problema, e raccomanda, quando non è possibile attuare un testo in piena conformità, di fare di tutto perché si evitino soluzioni peggiori». Qualcosa di simile avvenne anche sulla fecondazione assistita, pratica sulla quale fu raccomandato di limitare al massimo gli aspetti più inaccettabili: «I parlamentari cattolici non collaborano a leggi ingiuste – raccomanda Mensuali – ma nelle condizioni date fanno di tutto per limitare gli effetti negativi per la dignità umana».

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