I dubbi della Cassazione sul dl sicurezza: «criticità» nel metodo e nel merito

Nella relazione dell'Ufficio del Massimario della Suprema Corte si stigmatizza il ricorso alla decretazione d'urgenza e il rischio di pene sproporzionate.
June 26, 2025
I dubbi della Cassazione sul dl sicurezza: «criticità» nel metodo e nel merito
Critiche nel metodo e nel merito, che in buona sostanza smontano l’impianto di un provvedimento decisamente controverso, ancorché brandito dal governo sovranista come l’arma definitiva a tutela dei cittadini.
È il decreto sicurezza visto dalla Cassazione, che nelle 129 pagine della relazione sul testo dell’Ufficio del Massimario boccia uno dei provvedimenti bandiera della maggioranza. Innanzi tutto, per come è stato approvato, ovvero trasformando un disegno di legge in discussione in Parlamento in un decreto legge, senza apportare sostanziali modifiche al testo originario e senza che accadesse «nessun fatto nuovo configurabile come “caso straordinario di necessità e di urgenza”», tale da motivare la scelta dell’esecutivo. Anzi, secondo la Suprema Corte - che cita le opinione dei molti giuristi intervenuti sulla questione - l’intento della maggioranza sarebbe stato quello «di evitare ulteriori dilazioni in Senato, ove il testo avrebbe potuto essere approvato con modifiche».
Oltre a ricordare «l’insussistenza dei presupposti giustificativi per il ricorso alla decretazione d’urgenza», i tecnici della Cassazione fanno poi notare che «la prassi parlamentare annovera due soli precedenti di trasposizione dei contenuti di un progetto di legge in discussione in Parlamento in un decreto-legge», se non fosse che nessuno dei due riguardava la materia penale. Insomma, il decreto sicurezza è stato utilizzato come «veicolo celere della normativa recata dal ddl», che però era stato oggetto di un lungo confronto parlamentare ed era giunto assai vicino all’approvazione in seconda lettura in Aula, senza che fossero intervenuti «fatti nuovi configurabili come casi straordinari».
C’è poi un’ulteriore prova dell’inadeguatezza del metodo utilizzato dal governo, che riguarda le finalità perseguite dal provvedimento. Per la Cassazione il testo «nasce eterogeneo come lo era l’originario ddl che ha interamente trasfuso: di qui l’ulteriore profilo della disomogeneità, vizio considerato figura sintomatica dell’insussistenza dei presupposti giustificativi del provvedimento d’urgenza» richiesti dall’articolo 77 della Costituzione.
Quanto al merito, le criticità rilevate non sono da meno. La Cassazione ricorda che secondo la Corte Costituzionale la discrezionalità del legislatore «nella definizione della propria politica criminale e, in particolare nella determinazione delle pene applicabili a chi abbia commesso reati, non equivale ad arbitrio». Il che significa che le sanzioni previste, «in quanto destinate a incidere sulla libertà personale dei destinatari, devono ritenersi suscettibili di controllo» da parte della stessa Consulta, così da scongiurare il rischio di comminare «una sanzione non proporzionata all’effettiva gravità del fatto». Altri «profili problematici» emergono per quasi tutti gli articoli del decreto. Come per esempio il rischio di criminalizzazione del dissenso per la nuova aggravante di istigazione a disobbedire alle leggi in carcere. Oppure la «patente violazione dei principi costituzionali di tutela della maternità e dell’infanzia» nel caso della custodia in carcere delle detenute con figli. Senza contare «il rischio di violazione dei diritti umani, soprattutto con riferimento al diritto di protesta pacifica e manifestazione».
Il documento ha ovviamente incoraggiato le opposizioni, che ora chiedono un passo indietro sul testo. Ma la reazione del ministro competente, Carlo Nordio, fa capire che non ci sono margini di manovra. Anzi il Guardasigilli, oltre a dirsi «incredulo», ha chiesto al suo ufficio di gabinetto di acquisire la relazione e, soprattutto, «di conoscerne l'ordinario regime di divulgazione». Segno che l’irritazione per la consegna del testo ai media è già oltre il livello di guardia.
Per Simona Bonafé del Pd, «la dura presa di posizione» della Suprema Corte «ha evidenziato con chiarezza le profonde falle del decreto». Mentre per il leader di Avs, Angelo Bonelli, si tratta «dell’ennesima conferma di come questa destra stia trasformando la legge penale in uno strumento di propaganda, colpendo la marginalità, la povertà e persino la libertà di dissenso». Duri anche i pentastellati nelle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato, convinti che dalla Corte di Cassazione sia «arrivato un chiaro atto d’accusa contro il decreto Sicurezza», che «solleva forti dubbi sulla sua compatibilità con i principi costituzionali».
Sponda maggioranza è stato invece l’azzurro Maurizio Gasparri a intervenire, chiarendo che a suo avviso quella della Cassazione non è che l’ennesima «invasione di campo», e offre «una motivazione in più per andare nella direzione di un cambiamento di regole». «Dal Palazzaccio arrivano già note critiche sugli ultimi provvedimenti del governo in materia di sicurezza - ha osservato -. C’è un uso politico della giustizia, di cui si rende protagonista anche chi scrive questi pareri preventivi, destinati soltanto a seminare confusione».

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