
Il pastore e biblista Marcelo Figueroa - .
«La sua è stata una vita con il sapore del Vangelo». Così ricorda papa Francesco, Marcelo Figueroa, direttore dell’edizione argentina dell’Osservatore Romano. Il primo protestante a capo di una pubblicazione del giornale della Santa Sede. «Per Jorge Mario Bergoglio, il dialogo ecumenico, come quello interreligioso, non era fatto di convegni per le foto di rito. Passava per legami autentici con le persone. Lui vedeva oltre le appartenenze. L’ho sperimentato negli ultimi 25 anni», afferma l’esperto di Sacra Scrittura e pastore della Chiesa presbiteriana, ancora scosso dalla morte di quello che definisce «un amico, un fratello e un padre». «Non credevo mi avrebbe fatto tanto male la sua scomparsa. Sapevo che era anziano e malato. Ma è stato comunque un colpo durissimo».
Come ha conosciuto papa Francesco?
Sono stato a lungo responsabile della Società biblica, un’organizzazione di stampo protestante impegna nella diffusione della Parola. L’allora arcivescovo Jorge Mario Bergoglio aveva mostrato interesse nei confronti di questa realtà: era desideroso di un dialogo più profondo. E’ iniziata in questo modo una lunga amicizia proseguita e, anzi, approfondita, quando ho terminato il mio ciclo alla Società biblica.
Che cosa intende?
A fine incarico, nel 2010, sono andato a trovarlo per salutarlo. A sorpresa, mi ha offerto di lavorare con lui alla pastorale biblica. Sono rimasto gelato. Gli ho detto: “Ma io sono protestante”. Mi ha guardato e ha risposto: “Lo so”. Poi è andato a prendere la busta con il mio primo stipendio e me l’ha messo in mano. Mi stimava ma credo fosse anche preoccupato del fatto che restassi disoccupato. Non ho mai dimenticato la sua delicatezza.
Qual era il suo incarico?
Per tre anni ho scritto i testi della Lectio Divina per la diocesi. Avevo, inoltre, notato che l’emittente dell’arcivescovado non aveva un programma sul dialogo ecumenico e interreligioso. Così sono andato da lui e gliel’ho detto. “Fai pure”, ha risposto. Ma io volevo la sua partecipazione. Non voleva, ho dovuto convincerlo. Sosteneva di essere negato per la tv… Alla fine abbiamo inventato un programma in cui il rabbino Abraham Skorka, il cardinal Bergoglio ed io dialogavamo, senza copione, su un tema concordato. Abbiamo fatto trentuno puntate. Poi è partito per il Conclave del 2013. Ed è rimasto a Roma…
La vostra amicizia, però, è proseguita…
Ho avuto il dono di accompagnarlo in Svezia per i cinquecento anni della Riforma e a Ginevra all’incontro con il Consiglio mondiale delle Chiese. Avevo preso poi l’abitudine di scrivergli ogni martedì per raccontargli. L’ultimo è stato una settimana prima della sua morte. L’ho sempre sentito vicino, soprattutto in uno dei momenti più dolorosi della mia vita.
Quando è stato?
La Pasqua del 2015. Quel Venerdì Santo ho scoperto di avere un tumore grave: avevo meno del 30 per cento di possibilità di guarigione. Gliel’ho scritto. E mi ha subito chiamato. Stava uscendo per recarsi alla Via Crucis al Colosseo eppure ha trovato il tempo. Abbiamo pianto insieme, poi mi ha ritelefonato al termine. Ha continuato ad informarsi costantemente, ha confortato mia moglie. Il giorno dell’intervento, durante un incontro interreligioso, ha chiesto di pregare per me.
A quale, fra i tanti ricordi personali, è più legato?
Quando mia moglie ed io abbiamo celebrato i venticinque anni di matrimonio, abbiamo scelto di riscambiarci le promesse. E abbiamo chiesto di farlo di fronte a Francesco. E’ stata un bellissimo momento.
Che rapporto ha avuto papa Francesco con il protestantesimo?
Una relazione di grande apertura e dialogo. Riusciva a costruire ponti sia con la componente storica sia con i gruppi pentecostali e carismatici. Entrambi lo stimavano.
Qual è il suo sogno per il dialogo ecumenico e interreligioso?
E’ molto simile a quello espresso da Jorge Mario Bergoglio in “Fratelli tutti”. Sogno che le religioni contribuiscano alla costruzione della pace nel mondo. Il dialogo ecumenico e interreligioso ha consentito alle fedi di maturare degli strumenti che possono mettere a disposizione di governi e società civile per promuovere quella cultura dell’incontro indispensabile per il presente e per il futuro.