Voto alla tedesca: tre nodi decisivi
giovedì 1 giugno 2017

La convergenza delle principali forze politiche verso un sistema elettorale ispirato a quello tedesco appare in sé positiva per almeno una ragione: anche la migliore legge elettorale funziona male se non condivisa, anche una legge elettorale non perfetta può funzionare ragionevolmente bene se frutto di un patto fra i principali attori del sistema politico.

Quanto al suo contenuto, è ormai evidente che l’eventuale importazione del sistema elettorale germanico non consente di per sé di lanciare l’Italia all’inseguimento del più efficace sistema politico d’Europa (solo 8 Cancellieri in 68 anni e governi quasi sempre di legislatura, con Governo forte, Parlamento forte e sistema giudiziario autorevole): e ciò non solo in quanto riprodurre le regole non vuol dire necessariamente riprodurre anche la cultura che si è strutturata attorno a quelle regole, ma anche in quanto troppi tasselli del regime parlamentare tedesco sono assenti in Italia: dal bicameralismo differenziato (da noi accantonato il 4 dicembre) alla sfiducia costruttiva, fino alle norme sulla democrazia interna ai partiti.

Ciononostante, si può ipotizzare che nel medio/lungo periodo, un sistema di questo tipo potrebbe stabilizzare il sistema dei partiti e far emergere una cultura delle coalizioni responsabili, formate con un impegno prima delle elezioni, confermate dopo il voto e capaci di reggere per tutta la legislatura. Nel breve periodo, tuttavia, un sistema proporzionale non produrrà, verosimilmente, una maggioranza alla chiusura delle urne e renderà necessaria una qualche “grande coalizione” alla quale la cultura politica italiana sembra essere oggi allergica. In ogni caso, poi, nel costruire in concreto un sistema elettorale di tipo tedesco, sono al momento aperte alcune questioni di rilievo non marginale.

La prima consiste in un possibile equivoco: quello di scambiare il sistema tedesco per un sistema misto. La confusione può nascere dal fatto che in Germania i deputati sono eletti per metà in collegi uninominali maggioritari a turno unico e per metà mediante liste regionali. Tuttavia, se il sistema ha natura mista quanto al modo di eleggere i deputati, decisivo per la ripartizione dei seggi tra le forze politiche è il voto espresso per le liste regionali (cosiddetto secondo voto) e che il risultato elettorale complessivo è il riparto proporzionale dei seggi fra i partiti che superano il 5% dei voti su scala nazionale.

Dunque se un accordo politico sta emergendo, è auspicabile che non si coltivino equivoci: un sistema come il Rosatellum – per nulla disprezzabile – è ispirato a una logica diversa da quella del sistema germanico e assomiglia piuttosto al sistema giapponese o a quello in vigore nella Russia di Eltsin. Allo stesso modo si dovrebbe escludere un premio di maggioranza, istituzione tipicamente italiana: non perché sia in sé censurabile, ma perché, appunto, non si ragionerebbe più di un sistema di tipo tedesco.

Una seconda questione riguarda il collegamento fra le due parti del sistema tedesco: gli elettori germanici dispongono di due voti – uno per il collegio, l’altro per la lista regionale – ma i candidati nei collegi sono collegati a quelli di lista.

In Italia, ai tempi del Mattarellum, furono inventate le “liste civetta”, per aggirare il collegamento, e ridurre l’effetto proporzionale: è evidente che ciò snaturerebbe il sistema tedesco, con la conseguenza che da noi è forse necessario prevedere un voto unico. Inoltre: per rendere proporzionale il sistema tedesco è necessario aumentare il numero dei deputati in tutti i casi in cui un partito ottenga in una Regione più mandati diretti di quanti gliene spetterebbero rispetto a un mero calcolo proporzionale. Ciò è possibile in Germania in quanto lì il numero dei deputati non è stabilito con una cifra fissa in Costituzione. Da noi invece tale cifra c’è e occorrerà accantonare alcuni “mandati in compensazione” o accettare che in alcuni casi la riproporzionalizzazione del risultato complessivo sia imperfetta.

D’altro canto ci si può chiedere se sarà sufficiente a soddisfare la forte domanda per un recupero del rapporto elettore-eletto il fatto che solo metà degli eletti – quelli scelti nei collegi – metterebbe la faccia davanti all’elettore, mentre gli altri candidati verrebbero scelti in liste bloccate di partito. E infine, la questione più delicata: il sistema tedesco, anche se proporzionale, non è puro ma corretto, in quanto volto a ridurre la frammentazione politica.

Cruciale è il ruolo della clausola di sbarramento del 5%, che tuttavia incontra la legittima resistenza delle liste minori: le pressioni per ridurla al 4 o al 3 saranno dunque fortissime, così come vi sarà il tentativo di permettere minipateracchi fra più partitini per aggirarla. Tuttavia sta qui un punto centrale del sistema germanico: abbandonarlo vorrebbe dire tornare senz’altro alla proporzionale pressoché integrale della Prima Repubblica italiana e precludere i possibili effetti benefici di questo sistema nel medio periodo. Restano dunque molte questioni da risolvere e non è sensato attendersi da questo sistema elettorale soluzioni taumaturgiche ai problemi aperti della nostra vita politica. Ma già uscire dalla guerra civile permanente in materia elettorale, che dura dagli anni Ottanta del secolo scorso, sarebbe un risultato non da poco.

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