mercoledì 21 maggio 2025
Il popolare critico Rai racconta i suoi 72 anni, oggi in compagnia con «mister Parkinson e signora Cecità», e l’amicizia con celebrità del cinema e dello spettacolo. «Devo tutto a mia moglie»
Mollica: «Nella vita ciò che serve è avere sempre un sorriso in tasca»

Carlo Carino

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«In questa mia ultima vita da non vedente, in cui mister Parkinson e signora Cecità non mi abbandonano mai, la memoria mi fa sempre delle sorprese». Tipo? «Farmi apparire nitidamente le immagini di Poldo Sbaffini, l’amico mangiapanini di Braccio di Ferro per il quale, dopo il Boopismo, ho fondato il mio secondo movimento, il Poldismo. E di questi possibili fenomeni mi aveva avvertito il grande Andrea Camilleri che prima di andarsene mi disse: “Guarda Vincenzino, da cieco ti assicuro che arriveranno giornate neuri, e allora in quelle attàccati alle cose belle e tieniti un bel sorriso sempre in tasca». “DoReCiakGulp”. E dopo la sigla iniziale di quella rubrica cult del Tg1 (in onda dal 1998 al 2020), la parola ancora al suo conduttore. A un figlio devoto quanto memorabile di Mamma Rai: Vincenzo Mollica 72 anni, di cui oltre 40 passati in viale Mazzini a raccontare tutto lo spettacolo d’arte varia di questo Paese. Lo ha fatto con garbo, rispetto per tutti ed estrema tenerezza, fedele agli insegnamenti della triade dei suoi maestri del Tg1: Emilio Rossi, Enzo Biagi e Nuccio Fava, che lo hanno accolto in Rai nel 1980. «Presi servizio il 25 febbraio e due giorni dopo con me entrò Enrico Mentana. In quello che ai miei occhi allora sembrava un giardino zoologico dei grandi volti della tv, trovai Lello Bersani, personaggio di una simpatia e di una generosità straordinaria. Quando comprese la mia passione per il cinema mi disse: “Vince’, io qui dentro per te non posso fare niente, ma questa ti potrà servire a prendere il mio posto”, e mi regalò la sua agenda dove in anni di onorata carriera aveva trascritto tutti i numeri dei divi del cinema e dello spettacolo. E quella agenda è stata vitale, assieme agli insegnamenti ricevuti.

Cosa ha imparato in 40 anni di Rai?

«Che per fare al meglio il mestiere del cronista devi mantenere fede a tre cose: passione, curiosità e fatica. Questi tre elementi mi hanno permesso di parlare e raccontare solo le persone e le cose che mi piacevano, sperando di farle piacere anche al pubblico. E quando cose e persone non mi piacevano, allora usavo la forza dell’ironia e non quella della stroncatura, che è un’arma da perfidi narcisisti».

Ha detto: «Tutto quello che ho fatto l’ho realizzato con la complicità di mia moglie Rosamaria». Conferma?

«Certo. L’ho conosciuta negli anni dell’università alla Cattolica di Milano. Viaggiavamo per la città in due sulla mia Vespa arancione. Con “Rosemarie”, come la chiamo io, facevamo il pubblico, la claque alle trasmissioni Rai. Prendevamo quelle poche lire che ci garantivano la cena: un panino con il wurstel e una birra comprati a un baracchino di via Dante. Ci siamo fidanzati il 14 febbraio del 1973, a un concerto di Gaber. Anni dopo, quando per Einaudi curavo il cofanetto Parole e canzoni di Giorgio Gaber, andai a trovarlo a Viareggio e gli raccontai di quella sera. Giorgio divertito mi disse: “Vedi che le mie canzoni a qualcosa sono servite...”. Se Dio vuole, nel 2027 io e Rosemarie festeggeremo 50 anni di matrimonio”.

Matrimonio da cui è nata Caterina, un po’ la figlioccia di Federico Fellini che è anche il suo faro, sempre acceso.

«Con Federico abbiamo vagabondato per anni senza meta per le strade di Roma con la mia Fiat Uno rossa. Quando fece 70 anni, nel 1990, mi regalò i tre volumi del Corriere dei Piccoli con le annate 1928-’29-‘30, che conservo come reliquie. Mi disse: “Sfoglia qui dentro se vuoi arrivare a capire le radici del mio cinema”. Alla domenica andavamo in trattoria insieme e siccome Caterina non voleva mai mangiare allora Rosemarie le raccontava delle fiabe. A quel punto cominciava lo spettacolo. Federico prendeva dei tovaglioli, velocemente disegnava Caterina vestita da fata o da principessa, e d’incanto alla bambina tornava l’appetito. Poi sazia e felice finiva sulle gambe di Federico e Giulietta Masina».

Domeniche a tavola con il genio del grande schermo e la sua Gelsomina...

«Fellini è il Dante del cinema, nei suoi film trovi inferno, purgatorio e paradiso. Giulietta Masina era un essere speciale oltre che una grande attrice. Federico prima aveva disegnato Gelsomina e poi girò La strada che è un inno alla speranza. È il film che aveva segnato anche la vita di papa Francesco. Ne La strada il Papa aveva trovato dei valori importanti che ha sottolineato anche nel suo pontificato... Federico a Hollywood aveva vinto cinque statuette e le teneva nascoste in camera senza ostentarle mai, ma il vero Oscar mi raccontava che gliel’aveva dato Charlie Chaplin, un giorno che si incontrarono e gli disse: “Che bella la tua Gelsomina, finalmente ho trovato Charlot in gonnella”. Giulietta quando riascoltava quella storia dalla voce di Federico prima si commuoveva, poi si riempiva d’orgoglio».

Un altro orgoglio italiano e suo grande amico è l’altro premio Oscar Roberto Benigni.

«Roberto è un poeta della vita, della comicità dell’avventura umana, che sa raccontare come pochi altri. La vita è bella è un film immortale. Un giorno Benigni mi ha detto: “Lo scienziato apre gli occhi e guarda, il poeta chiude gli occhi e canta”. Un pensiero che si avvicina a quello di Fellini che sosteneva: “L’unico vero realista è il visionario”. Io ogni volta che incontro Roberto provo la stessa sensazione di quando passavo una serata con Federico: torno a casa e mi sento una persona migliore. Perché nei loro occhi splende la stessa luce di chi guarda oltre. Due affinità elettive. Benigni disse che “lavorare con Fellini era stato come per un falegname lavorare con san Giuseppe”. Federico stimava a tal punto Roberto che l’ultima battuta de La voce della luna (tratto dal bellissimo Poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni) la fa dire a lui. E in quel “se tutti facessimo un po’ più di silenzio forse riusciremmo a capire”, c’è la sintesi perfetta di questi tempi di guerre ma anche il segno beneaugurante per un futuro migliore, di pace».

Dal cinema al fumetto, sua grande passione: a chi darebbe l’Oscar del miglior disegnatore?

«Ad Andrea Pazienza e Hugo Pratt, a Milo Manara, a Guido Crepax... Però Andrea e Hugo sono stati due punti di riferimento anche nella mia vita. Benigni ha detto una gran verità: Pazienza è stato il “Michelangelo del fumetto”. Paz era un talento dotato di umanità e grande tenerezza, guardarlo disegnare era meglio che andare al cinema: in pochissimo tempo realizzava tavole che erano capolavori. Quando è nata Caterina ho chiamato Andrea alle 2 di notte e lui entusiasta rispose: “È bellissimo!”. Poi mi richiamò alle 6.30 per dirmi che aveva modificato la copertina del fumetto di Zanardi, Lupi, amore è tutto ciò che si può ancora tradire, con dedica: “Alla piccola e dolce Caterina Mollica”. Pratt era un genio assoluto. È stato tutto, persino il padrino di battesimo di mia figlia per cui prese il volo Losanna-Roma assieme a un grande orso di peluche a cui pagò regolare biglietto. I passeggeri lo guardavano stupiti perché Hugo gli parlava e diceva: “Orso, cos’hanno da guardare tutti quanti?”. Quell’orso per anni è stato il migliore amico di Caterina».

Caterina è anche una delle canzoni storiche di Francesco De Gregori, il suo cantautore preferito.

«A Francesco mi legano tante cose, a partire da una lunga storia d’amicizia. Quella canzone l’aveva dedicata alla memoria della sua amica etnomusicologa e cantante Caterina Bueno, quando nacque mia figlia feci un libretto con Pablo Echaurren e la riadattai con versi molto belli. De Gregori ha inciso canzoni eterne, come Santa Lucia che Lucio Dalla giustamente considerava una delle più belle mai scritte e per me è diventata una preghiera quotidiana che concilia con l’avventura umana. Così come cantare “Butterò questo mio enorme cuore tra le stelle un giorno, giuro che lo farò...” è un’espressione d’amore poetica talmente unica che mi spinse a realizzare qualcosa di altrettanto unico nella mia carriera di cronista Rai, il video de La donna cannone. Fino a quando non mi premiarono al Festival di Venezia quasi tutti ignoravano che quel video era nato da una mia esigenza di servizio».

Sarebbe a dire? Racconti.

«Dovevo fare un servizio su La donna cannone per il Tg1 e ai tempi non esisteva il videoclip, così mi arrangiai in maniera artigianale. Presi un frammento inedito trovato a Cannes di Charlot al pianoforte che sembrava suonasse proprio quella canzone di Francesco. Aggiunsi alle immagini dei disegni tratti da un libro trovato in una libreria di Los Angeles che parlava delle storie della donna cannone nel circo. Sulla strofa “ma voleremo in cielo in carne e ossa. Non torneremo più” montai gli Amanti di Vence del mio amato Chagall e infine la copertina del disco, disegnata dallo stesso De Gregori».

Anche Paolo Conte disegna le copertine dei suoi dischi.

«Con De Gregori, Guccini, De André e Battiato, Paolo Conte ha arricchito la mia biblioteca dove accanto ai dischi di tutti quei poeti del nostro cantautorato ci sono i libri di una vita, come I fratelli Karamazov,assieme a tutte le altre cose che tengo nel cuore. Come quei due versi di Conte: “Era un mondo adulto, si sbagliava da professionisti”. In questi giorni ascolto spesso A minestrina, altro capolavoro di Conte cantata da Mina che mi piacerebbe tanto arrivasse prima in classifica, perché quel testo ti fa capire che la vita può e deve continuare sempre, anche nei momenti più difficili».

Tra i momenti più divertenti delle sue ultime apparizioni in tv, il pubblico ricorda i siparietti con Rosario Fiorello a Viva Rai 2

«Rosario ormai, con Celentano, Benigni, Arbore, Baudo, Mike e la Carrà, fa parte dei grandi che hanno posto le fondamenta e rivoluzionato la nostra televisione. Fiorello è un generoso e a presentarmelo fu il suo vecchio manager Bibi Ballandi, impresario e persona di grande intelligenza che a Rosario ha voluto bene come a un figlio. Le interviste più divertenti con Fiore sono nate sul balconcino dell’Ariston al Festival di Sanremo, tipo quella con Gianni Morandi in cui Rosario se ne uscì dicendo: “Ricorda Gianni, la distanza tra l’eterno ragazzo e l’eterno riposo è un attimo”. Fiorello è un genio dell’allegria».

Per Fiorello dopo essere stato un personaggio da fumetto, Vincenzo Paperica, è diventato anche il pupazzo parlante di Viva Rai 2.

«Ho la fortuna di avere avuto una doppia vita: una da Vincenzo Mollica e l’altra da Vincenzo Paperica. Quest’ultimo nacque da un disegno di Andrea Pazienza poi sviluppato dal Raffaello dei nostri disegnatori della Disney, Giorgio Cavazzano. Due vite, le mie, che sono andate di pari passo, perché molti degli episodi e degli incontri incredibili che racconta Paperica sono realmente accaduti a Mollica. Come la telefonata di Fiorello che mi fa: “Vincenzo, devi farmi un regalo, ti vorrei come spalla del mio programma ma sarai un pupazzo e devi dire delle frasi che ti dirò io. Alle 4 del mattino Fiorello mi preparava le battute che trovavo su whatsapp e andavo al montaggio parlando da pupazzo con la mia voce che doveva dire frasi del genere “mi so cappottato” o “è partita la sciabbarabba” – sorride di gusto –. Non sapevo cosa stessi dicendo, so solo che Fiore sentendomele pronunciare rideva come un pazzo. Per quella trasmissione a Rosario hanno dato il Telegatto alla carriera e a me, il pupazzo Mollica, il Telegattino, che è tra i premi di cui vado più fiero».

Gli altri premi di cui va più orgoglioso e quelli che le piacerebbe ancora ricevere?

«Mi hanno appena dato la cittadinanza onoraria di San Benedetto del Tronto dove era nato Andrea Pazienza, ma il miglior premio è stato la vita fatta fin qui con Rosemarie. Dopo cinque anni da pensionato ho ancora la voglia di realizzare qualche progetto. Sfido la cecità con ironia dicendo a me stesso: “Omerico non fui per poesia ma per mancanza di diottria”. La mia memoria al momento per fortuna non ha bisogno di un’autobiografia. Ho sempre detto di no a un libro sulla mia vita, anche perché potrei stamparlo anche domattina: tutte pagine bianche e in copertina Vincenzo Paperica che dice: “Prima che mi dimentichi di tutto”. Aspetto di “vedere”, sì fa per dire, il docufilm di mia figlia Caterina su Federico Fellini che sta realizzando con Gianluigi Attorre. Non ho collaborato, sarò solo spettatore curioso. Del resto Federico mi ha insegnato che “solo la curiosità mi fa svegliare alla mattina”».

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