Via da questo folle confine
mercoledì 16 novembre 2022

Le armi tradiscono sempre. L’umanità per principio e prima di tutto. Ma tradiscono anche, e molto più di quanto si ammetta, gli intenti di chi le schiera e di chi le scaglia. Rivelano o stravolgono quelle intenzioni, trascinando allo scontro, spingendo avanti l’incendio della guerra, travolgendo quel che resta del senno che dovrebbe impedire agli esseri umani di tornare a scannarsi. Oppure, e questo è l’unico tradimento che si può apprezzare, le armi mostrano e dimostrano che tradiscono persino chi le brandisce e le usa, nonostante creda di esserne perfettamente padrone. In due casi su tre questo è quello che è accaduto ieri al confine ucraino-polacco dove missili russi (prima notizia) o pezzi di missili russi abbattuti dalla contraerea ucraina (seconda notizia) o pezzi di missili ucraini usati contro missili russi (terza possibilità) o missili non russi (versione di Mosca) hanno distrutto e ucciso in terra di Polonia, cioè nel perimetro dell’Alleanza Atlantica, cioè in quella che siamo abituati a pensare come casa nostra.

L’elenco delle possibilità non è un esercizio di prudenza all’insegna del “così è se vi pare”. No, è un atto di accusa: in guerra la verità è solo quella delle vittime, tutto il resto è fumo disorientante e tossico. Ma forse, stavolta, il rischio è così grande che tutti (o quasi) dovranno fare la propria parte, e in fretta, per diradarlo e per far comprendere bene al mondo che cosa è accaduto. E la fermezza prudente delle prime parole e dei silenzi di leader e portavoce, con l’eccezione comprensibile ma non condivisibile del presidente Zelensky, fa sperare che nessuno spinga in direzione di un’ulteriore assurda escalation della guerra in corso.

Ci renderemo conto nelle prossime ore se il bombardamento in terra polacca è il risultato di un terribile errore o di un feroce caso o – infine, sebbene sia stato il primo pensiero di tanti ieri – ha rappresentato una sorta di arrogante risposta di Mosca alla stretta di mano tra Joe Biden e Xi Jinping che, all’altro capo del mondo, in Indonesia, aveva cominciato a spazzar via la cornice da “guerra dei mondi” nella quale Vladimir Putin avrebbe voluto e ancora vorrebbe incastrare (e non da solo) la carneficina russo-ucraina.

Se fossimo davvero davanti a un attacco russo deliberato, a una studiata provocazione, staremmo precipitando follemente nell’incubo che appena ieri avevamo visto allontanarsi con i segnali inviati dal vertice sino-statunitense di Bali. Nelle altre due ipotesi, l’errore o la casualità, se i protagonisti politici saranno all’altezza delle drammatiche circostanze, potrebbe persino accentuarsi la spinta ad aprire una via d’uscita negoziale da una guerra che ci inchioda sul confine con l’Armageddon. Quel confine che le armi o i pezzi di armi stentano a riconoscere e che il livido lampo di questa crisi ci fa invece vedere in modo chiaro. Sono nove mesi che stiamo al folle confine, mentre si seminano armi e morti e devastazioni, è ora di far passare la pace.

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