Il peso della prossima intesa eurocinese
mercoledì 23 dicembre 2020

Dopo sette anni di trattative, l’accordo economico tra Unione Europea e Cina sarà concluso probabilmente entro la fine del 2020. Pochi giorni prima, dunque, dell’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca. Quando prenderà le sue prime decisioni riguardo alla Cina, il nuovo presidente americano si troverà così davanti a un fatto compiuto imposto dall’Europa. Non a caso, ieri, il futuro consigliere per la sicurezza nazionale del presidente eletto degli Stati Uniti, Jake Sullivan, ha chiesto di avviare «al più presto consultazioni con gli alleati europei» sulla questione. La mossa si collega al vuoto di iniziativa americano evidenziato dalla recente creazione, nel Sud-Est asiatico, della più grande un’area di libero scambio (Recep), dopo che gli Usa di Donald Trump si erano ritirati nel 2017 dall’Accordo di partenariato transpacifico ( Tpp) propiziato dall’amministrazione

Obama. L’intesa sino-europea di questi giorni fa apparire vecchie le 'novità' del trumpismo, lanciando un segnale forte in direzione di una più concertata globalizzazione (che, inaspettatamente, nel 2020 ha dato segni di ripresa, malgrado il Covid-19). Firmarla, significa anche misurarsi indirettamente con il problema di un nuovo equilibrio mondiale, in sostituzione di quello nato dopo la Seconda guerra mondiale, tenendo conto del ruolo ormai imprescindibile della Cina. Sembra insomma cominciare a trovare un’applicazione concreta il concetto di «autonomia strategica» di cui in Europa si discute da tempo.

Alla base dell’accordo c’è un dato eloquente: nel corso del 2020 la Cina ha sostituito gli Stati Uniti quale primo partner commerciale dell’Europa. Nei primi dieci mesi dell’anno in corso gli scambi Unione Europea-Cina sono stati di 477,7 miliardi di euro, con un aumento del 2,2% rispetto al 2019 (il saldo import-export è attivo a favore dell’Europa, ma non nel caso dell’Italia). Al contrario, lo scambio commerciale della Ue con gli Stati Uniti tra gennaio e ottobre è sceso a 460,7 miliardi di euro, con un calo dell’11,2% su base annua.

Con l’intesa che si profila, per le imprese europee si aprono settori molto vasti e diventa più facile espandersi nel mercato cinese, compensando così la contrazione dei consumi in Europa. Sono stati anche raggiunti risultati importanti per limitare i trasferimenti obbligati di tecnologia e la cessione della proprietà intellettuale da parte di imprese europee, il perseguimento di obiettivi politici da parte di imprese di Stato cinesi che operano in Europa, l’opacità nei sussidi pubblici concessi da Pechino. Purtroppo, l’accordo non contiene invece richieste alla Cina per il rispetto di requisiti minimi di tutela dei lavoratori.

I politologi parlano sempre più spesso di mondo post-occidentale e l’espressione è persino riduttiva rispetto alla realtà di un Occidente messo oggi in discussione nelle sue stesse fondamenta. Tuttavia, almeno a breve, nessuno – neanche la Cina – riempirà il vuoto lasciato dagli Stati Uniti quale cardine dell’ordine mondiale.

Non appare realistica neanche la prospettiva di una 'nuova' guerra fredda e cioè di una divisione del mondo basata su una contrapposizione ideologica bipolare, in cui la Cina sostituisce l’Unione Sovietica quale antagonista degli Usa e in cui l’Europa, al centro della 'vecchia' guerra fredda, è spinta ai margini. Il mondo, infatti, è oggi radicalmente multipolare e, al tempo stesso, sempre più capitalistico, globalizzato e interdipendente.

Ciò impone il dialogo e il negoziato. Se si vogliono affermare i valori occidentali – ma sarebbe opportuno chiarire quali, per non cadere nella mera retorica – la strada per farlo non passa attraverso il protezionismo o la guerra, ma per la costruzione di un modello diverso di globalizzazione. Per questo non si potrà né si dovrà continuare a 'dimenticare' le tutele fondamentali delle persone, e delle persone che lavorano. L’intesa sino-europea arriva alla fine di un semestre Ue a guida tedesca, durante il quale l’Europa ha dato forti segni di ripresa. E l’Italia? Alla luce di quanto si muove nel mondo, il dibattito politico nostrano appare sorprendentemente limitato.

Ma nel 2021 la guida del G20 spetta proprio all’Italia e in novembre i leader mondiali si incontreranno a Roma (compreso, probabilmente, anche Xi Jinping). È una responsabilità e un’opportunità che le forze politiche italiane non possono ignorare: anche l’Italia deve contribuire a una globalizzazione diversa e – si spera – più umana, a partire dalla distribuzione a tutti i popoli e in tutti i Paesi del vaccino contro il Covid- 19 e dal sostegno alla ripresa economica nelle aree più povere.

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