sabato 26 gennaio 2013
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Gira in Internet, ce l’ho qui davanti, un video musicale in cui due cabarettisti, Fabio&Pier, suonano e cantano un rap per invitare gli studenti che stanno fuori della porta a entrare in classe e partecipare all’ora di religione (lo si può vedere anche qui​ sul sito di Avvenire). Lo ascolto e penso che il tempo passa, cambiano le culture e i riti, e i modi di esprimersi. Oggi questo canto rap mi emoziona, penso che la cultura religiosa ingloba un’area da cui ieri stava lontana. Ieri questo canto non l’avremmo accettato. Perché rap e sacro erano due aree separate, due sentimenti esclusivi, dove c’era l’uno non poteva starci l’altro. Penso a quel che Umberto Eco scriveva sulla differenza tra indossare i jeans e indossare la tonaca, come il sacro si concilia con la seconda e non con i primi, perché con la seconda tu ti muovi dentro il vestito e non lo senti, come se non avessi un corpo, mentre con i jeans ti muovi insieme col vestito, e senti continuamente il tuo corpo, non lo puoi dimenticare. Il sacro esigeva la tunica, escludeva i jeans. Negli incontri con la religione si vestiva mostrando lo spirito e nascondendo il corpo. Poi il Papa ha preso a viaggiare lontano, fin nel cuore dell’Africa, e abbiamo visto tribù di africani cattolici danzare intorno al Papa, vestiti dei loro costumi e al suono dei loro strumenti. È il Cattolicesimo che si fa mondiale. E non può non farsi mondiale, dal momento che «cattolico» vuol dire «universale». Per le stesse ragioni si rivolge a tutte le generazioni, dunque anche ai giovani, cercandoli nel loro ambiente e chiamandoli nella loro lingua. Se questa lingua è il rap, usa il rap. Il messaggio, ripetuto come un ritornello, è: l’assenza dall’ora di religione lascia un vuoto nella cultura, dire «non entro perché non sono cristiano» è come dire «non m’interessa l’essere umano». Dunque, interessarsi all’uomo e interessarsi alla religione sono la stessa cosa. Concetto Marchesi ha scritto la più bella (per me) Storia della letteratura latina , e dentro ci ha calato un concetto che in lui, marxista, mi stupiva non poco: tutti i popoli che hanno fondato una civiltà avevano una religione. Non puoi capire quella civiltà se non studi quella religione. Foscolo, I Sepolcri: «Dal dì che nozze, tribunali ed are / diero alle umane belve esser pietose / di sé stesse e d’altrui», partì la civiltà, con il rito della sepoltura, il passaggio dal di qua al di là. Giudico un libro immortale Cronaca familiare di Vasco Pratolini, in cui l’autore racconta il difficile rapporto col fratello Dante. Immortale vuol dire che si può leggere sempre. Anche oggi. Vasco era marxista, e narra la malattia e la morte del fratello, le sue sofferenze, la consolazione che la religione promette ai sofferenti, e conclude: «Se così è, la tua anima splende nel più alto dei cieli». È l’ultima riga. Arrivati a quella riga, rileggi il libro da capo. Se togli quella riga, una lettura basta e avanza. Oggi è un tempo difficile per Manzoni, tutti fanno a gara nello sminuirlo: «Non conosceva l’amore, non conosceva il dubbio, aveva convinzioni preconcette». Massimo teorico di questa diminuzione, Benedetto Croce. Ma l’Innominato sarebbe un personaggio minimo, se fosse così rigidamente ateo e agnostico. Invece ha un barlume d’intuizione religiosa che lo agita, e quando il barlume brilla lui acquista una grandezza sublime. È interessante per questo. Solo per questo. Il Croce morì chiedendo una copia dei Promessi Sposi , e su una pagina scrisse un pentimento per averlo stroncato. Costruttore del nostro (italiano) ultimo sistema filosofico immanente, morì dicendo che la vita dev’essere un continuo contatto con la trascendenza. Da Dante a Luzi, non possiamo capire a fondo la letteratura dei nostri autori se non conosciamo a fondo la loro religione. Ai nostri studenti che vogliono capire bene quello che studiano, comprese l’arte, la filosofia, la storia, la letteratura, gli conviene entrare in classe, nell’ora di religione. E non starsene muti, ma fare domande. Saranno d’aiuto anche agli altri.
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