domenica 23 aprile 2017
Il paese si ribella al governo fallimentare e autoritario del presidente Maduro
Venezuela, l'«uscita» è solo democratica
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Le foto della mite signora Maria José, che a Caracas ha sbarrato il cammino di un blindato della Guardia nazionale bolivariana, hanno fatto il giro del mondo, rievocando le immagini viste nel 1989 in piazza Tienanmen. Maria José è stata rilasciata, diventando suo malgrado un simbolo della protesta pacifica di un popolo che non intende più sopportare il giogo del governo fallimentare e autoritario del presidente Nicolás Maduro, capace di far precipitare dal 2014 il Venezuela nel baratro di una crisi economica e sociale senza precedenti. Lo strappo finale è avvenuto dopo il maldestro tentativo dell’esecutivo, seguito da una goffa retromarcia, di usurpare attraverso una pronuncia giudiziaria i poteri dell’Assemblea nazionale, controllata dalla Mud, che riunisce i partiti d’opposizione. Ma le nuove proteste non sono solo l’ennesima puntata dello scontro politico permanente in atto fra il chavismo, al potere dal 1998, e le altre formazioni politiche. Oltre alla falta de democracia, la signora Maria José e milioni di venezuelani lamentano di vivere in un Paese dove la criminalità è spaventosa, la corruzione dilagante, l’inflazione alle stelle (nel 2017 è stimata al 1.600%) e la carenza di farmaci e alimenti tale da aver fatto riaffacciare malattie debellate da decenni. Oggi lo sconforto ha il volto triste di chi all’alba cerca avanzi fra i rifiuti, mentre due milioni di persone sono emigrate all’estero.

«Nos han quitado tanto que nos quitaron hasta el miedo», ci hanno tolto tanto che alla fine ci hanno levato anche la paura, si legge sugli striscioni dei manifestanti. A tanta disperazione, il regime risponde con repressione ferrea: in questi giorni, i prigionieri politici sono saliti a 148, gli arrestati a 571, secondo la Ong 'Foro penal venezolano', e le vittime a 12, oltre a 230 feriti. Nel 2014, durante le proteste di piazza, ci furono 43 morti. Ma oggi, oltre ai lacrimogeni e alle pallottole di gomma dei militari, i cittadini rischiano pure di essere colpiti dal piombo dei colectivos, bande armate filogovernative accusate di alcuni agguati e fomentate dall’ala più aggressiva del chavismo. All’estero, l’isolamento è cresciuto. Diversi Stati sudamericani hanno raffreddato le relazioni diplomatiche. Gli Usa accusano esponenti del regime, compreso il vicepresidente El Aissami, di collusioni col narcotraffico. E perfino la Cina, temendo di veder pregiudicati i propri interessi, auspica una pacificazione nazionale. Intanto, davanti al tribunale penale internazionale dell’Aja è giunta una denuncia per violazione dei diritti umani e tortura sistematica, nei confronti del presidente Maduro. Arroccato a Palacio Miraflores, il capo di Stato resta indifferente agli appelli di organismi politici (l’Onu, l’Organizzazione degli Stati americani e l’Ue, fra gli altri) e autorità morali. A ottobre, ricevendolo in Vaticano, papa Francesco aveva auspicato un dialogo «sincero e costruttivo».

Un invito ribadito quotidianamente dalla Conferenza episcopale venezuelana, ma ignorato dall’esecutivo, che continua a prevaricare la Costituzione, ad 'azzoppare' i leader dell’opposizione (Leopoldo Lopez, Antonio Ledezma e altri sono agli arresti da tempo con accuse pretestuose ed Henrique Capriles è stato appena 'interdetto' da cariche elettive) e congela qualsiasi appuntamento elettorale: dal referendum revocatorio sul presidente, chiesto con milioni di firme dai cittadini, al voto per i governatori regionali, rinviato da mesi. 'Hasta cuándo?', fino a quando, e a quale prezzo, il regime riuscirà a restare in sella? Il mandato di Maduro scadrà nel 2018, ma fino ad allora – senza il rispetto della Costituzione e senza 'valvole di sfogo' elettorali – le tensioni potranno solo aumentare. I dittatori, ammoniva Winston Churchill, «cavalcano avanti e indietro su tigri dalle quali non osano scendere», ma quelle tigri «diventano sempre più affamate». Quando di fronte si trovano un popolo disperato, che ha perso ogni paura, e un governo politicamente autistico e con poco futuro, lo spettro di una guerra civile è dietro l’angolo. L’unica via, percorsa da altri Paesi sudamericani negli scorsi 40 anni, è prendere atto dell’urgenza di una salida democrática, una 'uscita' dall’incubo con elezioni libere, in cui il popolo venezuelano possa riappropriarsi del diritto di decidere chi dovrà governarlo. Prima sarà, meglio sarà.

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