domenica 27 marzo 2011
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Caro direttore,permettimi di scriverti una lettera su un argomento apparentemente leggero. Come tanti altri parroci abbastanza giovani (ho 47 anni) seguo la gioventù con particolare affetto e attenzione. In modo particolare faccio anche il "manager-suggeritore" di una band giovanile. La mia riflessione nasce dall’ascolto dell’ultimo brano di Vasco Rossi «Eh già!»: sappiamo tutti quanto questo autore sia amato nel mondo giovanile. Con il dovuto rispetto per le intenzioni dell’autore, che non so quali siano, le sue parole sembrano una nuova canzone di Giuda, un nuovo squarcio su quell’animo tormentato: interessante, anche se molto meno valida sotto tutti i punti di vista rispetto a "Heaven on their minds" di Jesus Christ Superstar. «Al diavolo non si vende, si regala», dice Vasco-Giuda, dopo aver amaramente constatato che «non c’è niente che non va, non c’è niente da cambiare!». Ma come? Non era forse Vasco-Giuda il ribelle per eccellenza? Contrordine compagni: ecco il (vero?) Giuda-Vasco pensiero, che, mentre tradisce per niente, fondamentalmente dice che è tutto a posto, che tutto va bene! L’impressione è di un Giuda-pensionato che, ceduto al diavolo oltre all’anima anche l’entusiasmo, sia beatamente a riposo. «L’anima – dice – si arrende alla malinconia». Si era mai infiammata – dico io – per qualcosa di vero e di grande? Clamoroso il confronto con le parole del Signore: «Sono venuto a portare il fuoco sulle terra!» Il Vasco-Giuda pensiero si rivela smaccatamente per quello che è sempre stato sottotraccia: la rivoluzione che parte dalla musica rock si esaurisce nello spazio di un concerto, non riesce ad andare oltre una notte di sogni. Vasco-Giuda «è ancora qua» in quattro parole esiste ancora: come un rizoma senza passato né futuro. Eccolo il relativismo assoluto presentato – oserei dire – in termini trionfali, eleganti, ma non meno suadente e fascinoso. «Poi piango, poi rido, poi non mi decido, cosa succederà?» dice ancora il Vasco. E tutti gli educatori di oggi sanno che non succede niente proprio perché manca il coraggio di decidersi, anche sbagliando magari: come parroco lo vedo soprattutto nell’esprimere la propria identità cristiana a tutti i livelli, nella crescita della fede e nell’espressione della carità. E concludo: questi messaggi, che arrivano ai giovani con una potenza invasiva ben superiore alle nostre omelie e a tutte le nostre proposte ordinarie, non sono innocui. Per questo varrebbe la pena di elaborare, su queste espressioni del nostro tempo, che frequentiamo volenti o nolenti, più di qualche analisi, limpida, coraggiosa oserei dire... spietata. I nostri giovani hanno il diritto di poter leggere nella lunga carriera delle "star" e dei "Vip" le idee di fondo, di sapere come nascono e dove conducono le loro parabole artistiche. La forza della ribellione giovanile, che rimane un’energia potente e preziosa, non può finire nel ritrovarsi un giorno nel numero di una compagnia di apostoli-pensionati di vecchi maestri, sempre simpatici ma ormai logori, senza più energie per passare all’azione. Come dicono nei gruppi giovanili: «Bisogna lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato!». Con i sentiti complimenti per il vostro lavoro.

don Giuseppe Mattiello parroco dell’Unità pastorale Berica Vicenza

A te, caro don Giuseppe, una «analisi limpida, coraggiosa e... spietata» è (serenamente) venuta benissimo. La malinconia, anche quando è la pallida spuma di una robusta onda rock, culla e fa acquattare nell’ombra delle disillusioni. Abbiamo bisogno di cantare e vibrare per molto di più di una suadente e amara alzata di spalle di fronte a noi stessi, al mondo e a Dio. I ragazzi di oggi, come quelli di sempre, lo sanno. E meritano di sentirselo dire per poterlo vivere di cuore e a mani aperte. Grazie, davvero. E forza, e voce.
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