mercoledì 24 settembre 2014
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​Paul Mooney è un comico di successo di New York che «almeno una volta al giorno» deve fermarsi per strada a firmare un autografo. Ma non uscirebbe mai da un negozio senza lo scontrino in mano, ben visibile. «In caso uno sbirro mi accusi di aver rubato il mio nuovo orologio», spiega. Mooney è nero. Come Michael Brown, il ragazzo disarmato ucciso il mese scorso da un poliziotto a Ferguson, in Missouri. Come l’uomo di Saint Paul, in Minnesota, che ha chiesto a un agente perché voleva vedere i suoi documenti quando stava semplicemente aspettando i suoi figli su una panchina e che, per questo, è stato colpito con la scarica elettrica di una pistola taser. E come il 43enne di Staten Island, a New York, accusato (ingiustamente, si scoprirà) di contrabbandare sigarette sul marciapiede, buttato per terra con un braccio attorno al collo e morto, mentre ripeteva senza sosta di non riuscire a respirare. Casi che hanno provocato manifestazioni, anche violente, infiniti dibattiti in rete e reazioni scandalizzate da parte dell’opinione pubblica americana. Ma che per molti, come Jason Wise non rappresentano nulla di nuovo. I fatti di Ferguson, racconta lo studente di medicina dell’Università Cornell di New York, hanno solo portato a galla le piccole umiliazioni che un afro-americano, anche uno istruito e della classe media come lui, deve subire ogni giorno. «Sali sul metrò di sera e le donne si stringono la borsetta al fianco, gli uomini fanno un passo indietro – racconta –. Una volta, da ragazzo, sono uscito di casa, nell’Upper East side, in tuta e maglietta stropicciata e un poliziotto mi ha urlato di alzare le mani. Per fortuna mia madre è corsa fuori e gli ha spiegato che non ero un ladro».Eppure, se si guarda alla storia americana, dall’assassinio del reverendo Martin Luther King alle auto incendiate del 1968 fino alle leggi contro la segregazione e la discriminazione, i neri d’America hanno fatto enormi passi avanti. Il tasso di povertà fra gli afro-americani è crollato dal 40 per cento degli anni Sessanta al 27 per cento di oggi. Fra i bambini, siamo passati dal 67 al 40 per cento. Il reddito annuo medio di una famiglia dalla pelle scura è passato (calcolato in moneta attuale) dai 22mila dollari nel 1963 agli oltre 40mila di oggi. Per non parlare dell’elezione del primo presidente nero della storia degli Stati Uniti e da un numero di deputati e senatori neri, a livello statale e federale, sette volte quello di quarant’anni fa. «C’è stato un cambiamento radicale nelle leggi e nella presenza dei neri nella società – spiega Michael Wenger, analista presso il principale gruppo di studio sugli afro-americani – ma non nei comportamenti quotidiani». I progressi, anche se in verità sono relativi, alimentano infatti la percezione che gli abusi siano acqua passata, e che i neri, anche grazie alle leggi che danno la precedenza alle minoranze nell’ammissione alle università più esclusive, godano già di pari opportunità. Ma la realtà è un’altra. Dagli anni Settanta, quando negli Stati Uniti si è raggiunto in modo forzato il picco dell’integrazione razziale, bianchi e neri si sono di nuovo separati. Cinquant’anni dopo il "sogno" interrazziale di Martin Luther King, studi rivelano che in media un bianco ha al massimo un amico nero ogni cento, non di più.
Oggi la maggior parte dei neri torna a casa la sera in quartieri popolari profondamente segregati e malserviti da mezzi pubblici, parchi, ospedali e supermercati appena decenti e con un’alta concentrazione di fabbriche inquinanti, negozi di superalcolici e disagio sociale. Uno di questi quartieri è Hunts Point, nel Bronx, dove i volti che s’incontrano per le strade, asfaltate ma piene di buchi, sono quasi solo scuri. È qui che si trovano le scuole pubbliche con il tasso più alto di abbandono scolastico, con i metal detector alla porta, l’eroina nei bagni e i poliziotti nei corridoi. Ed è qui – dove un nero di vent’anni ha più probabilità di finire in prigione che di trovare un lavoro – che nasce la contrapposizione fra forze dell’ordine dalla pelle chiara e residenti dalla pelle scura, le piccole umiliazioni quotidiane che esplodono in episodi come quelli di Ferguson, di Saint Paul o di Staten Island.
Ecco allora che i progressi che fanno pensare a un successo del movimento per i diritti dei neri appaiono in una luce diversa. Un bianco in America possiede in media (fra conti correnti, case, auto, investimenti) 18 volte più beni di un nero. E spesso fatica a credere, lo dicono i sondaggi, che non sia in qualche modo "colpa" dei neri se le differenze sono così profonde, negando l’esistenza del cosiddetto "privilegio bianco". Negli Stati Uniti se n’è sentito parlare molto, nelle ultime settimane, per definire il sottile razzismo istituzionale che rende più facile per una persona dalla pelle chiara ottenere un lavoro, un mutuo, un appartamento in affitto in un buon quartiere, persino cure in ospedale. Ma molti commentatori (bianchi) non ci stanno, e ricordano ai neri che se non facessero niente di male non finirebbero nei guai, o in povertà, in percentuali così alte. «Di fatto, la società ci dice che al primo errore che facciamo siamo fuori – risponde loro Jason, lo studente nero – perché se un ragazzo caucasico si ubriaca una sera in un bar e minaccia il barista, se la cava con una ramanzina della polizia. Un nero invece finisce in manette con un’incriminazione per assalto aggravato che peserà sulla sua fedina penale per anni».
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