venerdì 16 luglio 2010
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Già prima della crisi economica le nuove generazioni non se la passavano molto bene in questo Paese. Bassi tassi di attività e lunga permanenza entro le protettive e rassicuranti mura della famiglia di origine, sono da molti anni un tratto caratterizzante dei giovani italiani rispetto ai coetanei del resto d’Europa.Alla base ci sono anche motivi culturali, legati all’importanza della famiglia e alla forza delle relazioni affettive e di disponibilità al reciproco sostegno tra genitori e figli. Quella che, però, era una scelta è diventata nel tempo sempre più una necessità. Tanto che, come documenta l’Istat, tra i motivi della non uscita dalla casa paterna sono cresciuti negli ultimi anni soprattutto quelli riconducibili a difficoltà oggettive. Aumenta, dicono le varie ricerche, la voglia di autonomia dei giovani, ma non cresce la loro capacità di liberarsi dalla dipendenza dei genitori. I problemi maggiori arrivano soprattutto dal lavoro, che non c’è o, quando c’è, prevede spesso remunerazioni basse e discontinue. Negli altri Paesi i giovani con contratto a termine sono pagati di più e aiutati maggiormente con politiche attive, che coprono il passaggio da un’occupazione all’altra. In Italia, come ben noto, la riforma del mercato del lavoro non è stata accompagnata da una concomitante ristrutturazione del sistema di welfare pubblico in grado di fornire strumenti di protezione verso i nuovi rischi. Così la flessibilità è scivolata verso la precarietà, quasi completamente addossata sui giovani, ovvero sui nuovi entranti. A loro volta le nuove generazioni hanno risposto appoggiandosi ancora di più sulla famiglia di origine, il loro unico vero ammortizzatore sociale. Ma così abbiamo creato un sistema che incentiva la dipendenza anziché promuovere l’autonomia e le scelte di responsabilità adulta, quali formare una propria famiglia.A preoccupare è soprattutto l’incapacità di valorizzare il capitale umano delle nuove generazioni mettendolo al servizio della crescita del benessere comune. Siamo, nel complesso, uno dei Paesi più lontani da quella promozione di una piena partecipazione dei giovani nella società e nel mondo del lavoro auspicata dalla Commissione Europea.La crisi ha accentuato, evidentemente, ancor più questo stato di cose. Il ricorso alla cassa integrazione riguarda maggiormente i lavoratori maturi, le mancate assunzioni e il mancato rinnovo di contratti a tempo determinato colpisce invece maggiormente le nuove generazioni. Ed infatti l’80% della riduzione dell’occupazione riguarda i giovani. A mitigare gli effetti di un impatto così rilevante e potenzialmente drammatico è stata ancora una volta la famiglia di origine. Ma ciò solleva varie questioni preoccupanti. L’assenza di un welfare pubblico adeguato rende essenziale il ruolo dei genitori, ma crea forti disuguaglianze. Reggerà meglio chi ha alle spalle genitori benestanti, indipendentemente dal suo valore e dalle proprie capacità. Ma più in generale, ci si può chiedere fino a che punto le famiglia media riuscirà a tenere.Quella che è stata finora la risorsa più importante per la crescita e il benessere sociale, potrebbe uscire dalla crisi molto provata e impoverita, rischiando di compromettere le possibilità di ripresa e rilancio. Abbandonare i giovani e le famiglie a se stesse può consentire di limitare i costi della crisi nel breve termine, ma provocare conseguenze negative durature nel tempo.
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