sabato 2 marzo 2013
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Sarò sincero: mi aspettavo un successo ancora più clamoroso. Lo dico a ragion veduta, dopo essere andato a ficcare il naso, da curioso, al comizio che Grillo ha tenuto a Viterbo: l’ultimo, prima della grande prova di forza di piazza San Giovanni. Pioveva a dirotto, epperò, rincagnata sotto gli ombrelli, la folla euforica traboccava in piazza del Teatro. Sono più di 5.000: il che fa impressione, se si pensa che alle comunali del 2008 i grillini ebbero soltanto 886 voti, pari al 2%.
Prende la parola Simona, del comitato: «Non avete idea di quanti siete e di quanto siete belli». Mi guardo intorno ma vedo solo tipi ordinari, quasi tutti più brutti di me: che non posso non collocarmi, per avvenenza, in fascia medio­bassa. La verità è che questi grillini si sono già impadroniti del linguaggio della più consumata politica politicante: quello che blandisce e abbraccia, ma che nulla dice, beatamente vacuo.
Arriva Grillo, con 40 minuti di ritardo. Promette «parole guerriere», ma la retorica è sempre la stessa. Retorica anti­casta: coi soliti argomenti da auto blu. Retorica anti-equitalia, che, a dire il vero, è oggi appannaggio di quasi tutta la politica: il che giustifica l’irritazione dei dipendenti della società pubblica verso quei politici che li hanno costretti all’applicazione feroce della legge e che ora, in campagna elettorale, li criticano. Retorica patriottica: «Noi italiani siamo i migliori del mondo». Retorica sulle politiche sociali: riduzione dell’orario di lavoro, sussidi ai disoccupati, pensione a 60 anni. Retorica rosa: «Non sono molte le donne nel Movimento, capisco che sono impegnate, ma tutte quelle che abbiamo sono capilista». La gente applaude entusiasta.
Mi sembra un’Italia semplice e perbene, lontana dalla politica dei partiti, ma disarmata di tutto, cui si sono aggiunti prontamente i soliti noti e i professionisti della protesta permanente: come il Nobel Dario Fo, il quale, già dal cognome, mostra di saperci fare. Colpisce solo che il ’92 non abbia insegnato niente a questo popolo di nuovo insorto: e che nessuno si chieda che fine abbiano fatto, una volta al potere, i risentiti che ieri lanciavano monetine sui presunti corrotti. Così come colpisce la fede cieca in verità tanto semplificate e la celebrazione della gente 'normale', quasi che i politici siano nati dal nulla. Avrò torto: ma ho sempre pensato che il Paese reale sia peggiore di quello legale.
La settimana scorsa mi raccontavano che in una tavola calda un anziano avventore si afflosciava sulle ginocchia. Una giovane medico mormorava al suo commensale: «Meglio che chiamino il 118. Tanto io cosa potrei fare?». Mentre tornava a mangiare la cotoletta, continuando a ciarlare del più e del meno. Il comizio è finito. Il web ha lanciato l’urlo e la piazza l’ha fatto rimbalzare. Ho il tempo di registrare le imprecazioni d’uno capitato per caso nella libreria accanto al palco. Gli hanno rubato l’ombrello: «E chi li vota questi? Sono come tutti gli altri». C’è sempre un grillo più grillo di Grillo. Ce ne accorgeremo presto.
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