giovedì 18 giugno 2009
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Pompei sta scomparendo. Non a causa di un’altra eruzione del Vesuvio: non si sono visti e non si prevedono strani segnali dal mare e dal cielo, e poi la fitta pioggia di lapilli, l’aria incandescente, il ribollire del vulcano che si sta destando. Non è necessario, per l’umanità a venire, che Plinio il Vecchio, il grande naturalista romano, anziché fuggire verso il mare per cercare salvezza, si lanci verso la bocca del vulcano in fiamme, per comprendere il fenomeno, offrendo la propria vita alla sete di conoscenza Nulla di tutto ciò. Come ha spiegato Andrea Carandini, presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, in un recente incontro milanese con gli Amici di Brera, « ogni giorno 10 centimetri di Pompei vanno in polvere » . Fra trent’anni la città sarà scomparsa. Se ne sta andando in polvere, svanisce sotto i nostri occhi, tra poco non esisterà più. Che cosa è Pompei? Uno dei grandi scrigni simbolici dell’umanità. La città paralizzata dall’eruzione, fissata per sempre dalla stessa forza e degli stessi elementi che la portarono a una morte quasi istantanea, ha un significato antropologico più forte di quello delle stesse piramidi: queste celebravano consapevolmente la morte e la volontà di sopravvivenza eterna, nella geometria delle forme. A Pompei la vita è colta, fissata nell’attimo: tutto è vivente e fermo. Chateubriand scrisse, nel Viaggio in Italia, che si sarebbe appresa molto meglio la storia romana con poche gite pompeiane che con tutti i libri scritti sull’argomento. Non c’è dubbio: noi vediamo la città nelle case, nelle botteghe, piscine, la vita quotidiana, vediamo i gemiti sulle labbra delle donne, le grida nelle bocche dei bambini, l’esistenza appare nelle sue forme come avvolta da una neve irreale, caduta dal regno dei morti. I forni, la basilica, il tempio, il macello, la piscina, il vinaio, la strada del postribolo, il cuore della città e le sue urne: la stanza dalle pareti rosse come murice, le aragoste e i pesci dipinti, le vasche, i corpi reclinati o distesi, la vita fissata per sempre. La vita romana diviene universale, custodita nella pietra. La pietra è il reale, è dura, è la prova della realtà scrive Elide; Michelangelo trova la luce dentro la pietra, il minatore e l’alchimista trovano il diamante e l’oro nelle caverne di pietra, nelle caverne di pietra l’uomo inizia il rito, dipinge cavalli sulle pareti, danza, prega. La pietra ferma e custodisce Pompei, risultato del fuoco che aveva distrutto, della lava incandescente, che solidifica. Crudeltà elementare, di fuoco incandescente e pietra che copre, toglie la vita ma salva i corpi e le loro cose alla memoria. Crudeltà elementare, ma anche una strana pietà minerale che fa intuire anche negli eventi rovinosi e tragici della natura un disegno misericordioso nemmeno troppo nascosto. Non c’è invece pietà nell’uomo che non trema di fronte alle immagini di quegli altri uomini, ai loro corpi fissati per sempre, quasi a ricordarci la nostra comune origine, il destino che ci affratella. Ora l’Italia del secondo millennio vede l’indifferenza di fronte alla scomparsa di quel luogo sacro alla vita e alla memoria, oltre che alle radici della storia. Alla pietà minerale del fuoco e della pietra si sostituisce l’assoluta mancanza di pietà dell’uomo ormai vittima dell’inerzia, della pigrizia, della rinuncia. Pompei che si dissolve, senza che nessuno ne fermi lo sgretolamento, rappresenta una prevalente, anche se non esclusiva, condizione dell’uomo di oggi, deprivato di ogni slancio spirituale, appagato nell’ adipe paludoso e polveroso del nichilismo. Ciò che il terremoto non distrusse sarà distrutto dall’indifferenza. Fuoco e vulcano portarono rovina ma anche memoria, e, in un certo senso, salvezza. L’indifferenza produce solo cancellazione, la strada al Nulla. La città dove un’intera civiltà è stata fissata in un attimo sta andando in polvere. Senza che nessuno ne fermi lo sgretolamento
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