domenica 22 aprile 2012
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In Francia soffia il vento del cambiamento. In quale direzione e con quale intensità lo vedremo già stasera, quando la corsa all’Eli­seo avrà compiuto il suo primo tratto di stra­da e dalle urne usciranno i nomi dei due sfi­danti che si affronteranno nel ballottaggio de­cisivo del 6 maggio. Una cosa appare certa: i francesi si preparano a voltare pagina. Lo faranno decisamente se alla presidenza andrà François Hollande, il candidato del Partito socialista, l’esponente di una sinistra che sogna la rivincita da dicias­sette lunghissimi anni, dal giorno in cui finì l’epoca Mitterrand. Il leader dell’opposizione ha preannunciato una grande svolta in eco­nomia sulla base di un generoso programma di spesa pubblica e di ridistribuzione delle ri­sorse che dovrà essere sostenuto da una ro­busta patrimoniale sulla ricchezza. È un guanto di sfida lanciato al mondo del­l’alta finanza, «il nemico che impedisce la cre­scita ». Ed è un segnale lanciato all’Europa suc­cube del «rigorismo tedesco», costretta a in­dossare una camicia di forza che va sotto il no­me di 'Patto fiscale' e dev’essere strappata via al più presto. Così la pensa Hollande. Ma anche se, contro il pronostico, venisse ri­confermato presidente Nicolas Sarkozy, mol­te cose sono destinate a mutare. Il presidente uscente che nel 2007, all’inizio del suo man­dato, aveva promesso una grande "rupture" ultra-liberista oggi ammette la necessità di un nuovo modello sociale, vuole una «Francia for­te » che assomiglia molto ad una Francia pro­tezionista e alza la voce con l’Europa, cui chie­de di cambiare regole in materia di libera cir­colazione (modificando il Trattato di Schen­gen) e di sostegno allo sviluppo (ridiscutendo statuto e ruolo della Banca centrale europea). Al di là delle due visioni a fare la differenza è soprattutto la personalità dei candidati. Hol­lande, favorito dai sondaggi, leader per caso e senza grande carisma, è apparso moderato e prudente, invitando i suoi sostenitori «a non dare la vittoria per scontata». Sarkozy, passio­nale e iper-attivo, si è buttato nella mischia e­lettorale con grande irruenza, nel tentativo di risalire la china dell’impopolarità e scommet­tendo su «un risultato a sorpresa». Il primo si è mosso il meno possibile, con l’u­nica preoccupazione di non compiere passi falsi. Il secondo si è agitato all’inverosimile, tra improbabili mea culpa e rabbiosi scatti d’or­goglio. In questa strana corsa, la lepre Sarkozy riuscirà a raggiungere la tartaruga Hollande, o comunque a ridurre la distanza pronosticata dai sondaggi? È questa una delle grandi inco­gnite del voto di oggi. L’altra, non meno importante, riguarda la som­ma di consensi ottenuti dalla candidata d’e­strema destra, Marine Le Pen, e da quello del­l’estrema sinistra, Jean-Luc Mélenchon. Si bat­tono per "la medaglia di bronzo", un terzo po­sto che potrà condizionare pesantemente il ri­sultato finale. Un successo del leader del Fron­te di sinistra farebbe ombra al candidato so­cialista, sollecitato a spostarsi su posizioni più radicali. Molto dipenderà dai voti che riuscirà a raccogliere François Bayrou, il leader centri­sta legato alla tradizione democristiana che nel 2007 arrivò al terzo posto ma che oggi, pre­so in mezzo dai fuochi contrapposti della de­magogia, appare come un isolato Cyrano. Non si tratta solo di ricette economiche. La partita che si gioca in Francia avrà inevitabili ripercussioni in Europa. E sarà importante an­che per quanto riguarda il modello di società ed i valori di fondo che devono ispirare una reale democrazia. La laicità "negativa" cui sem­bra ispirarsi Hollande, sostenitore del matri­monio omosessuale e dell’eutanasia, non può lasciare indifferenti. È ve­ro, non se n’è parlato mol­to nel corso della campa­gna elettorale. Ma questo non vuol dire che non si sarà costretti a parlarne domani. La Spagna di Za­patero insegna.
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