sabato 9 gennaio 2010
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Rosarno, Italia: cinquemila immigrati, in gran parte irregolari, pagati (quando va bene) 18-20 euro al giorno per 12-14 ore di lavoro a raccogliere agrumi, ammucchiati in ex fabbriche senza acqua e senza luce, sfruttati da imprenditori e mafiosi, dimenticati da enti locali e istituzioni regionali e nazionali. Val di Non, Italia: settemila immigrati, tutti regolari, pagati 6,90 euro all’ora per 8 ore di lavoro a raccogliere mele, con vitto e alloggio assicurato dai datori di lavoro, sotto il rigoroso controllo della provincia di Trento e dei Comuni della zona. Dietro alla drammatica rivolta degli immigrati africani della Piana di Gioia Tauro, dietro la reazione degli abitanti, sfociata ieri sera in due feroci gambizzazioni, c’è ancora una volta questa Italia spaccata in due, questo Paese che, come ha denunciato più volte il capo dello Stato, viaggia a velocità diversissime. Due Italie, forse addirittura due pianeti diversi. Lo diciamo chiaro e forte, perché nessuno può accusarci di trito e becero antimeridionalismo. Avvenire, con la stessa identica passione della Chiesa italiana e dei suoi vescovi, è da sempre attento alla realtà del Sud: al male che la affligge e al tanto bene che offre. Anche sul fronte immigrazione. Perché non è impossibile gestire e accompagnare questo fenomeno epocale. Proprio nella tanto disastrata Calabria due paesi della zona jonica, Caulonia e Riace, sono esempi di integrazione, apprezzati e studiati anche all’estero. Addrittura ospitano, su richiesta degli organismi internazionali, i profughi dei campi palestinesi. Dunque, si può agire nella legalità e nella civiltà. E non solo nell’efficiente Trentino.Esperienze felici, ma purtroppo solo isole. Il resto è un mare di Rosarno, dove gli immigrati si spostano seguendo le stagioni. Nomadismo agricolo: a settembre in Sicilia (olive), tra ottobre e marzo in Calabria (agrumi), poi in Puglia e Campania (ortaggi). Così da almeno venti anni. Sotto agli occhi di tutti. All’aperto dei campi, non al chiuso di qualche fabbrica. Tutti vedono ma girano la testa dall’altra parte. Le istituzioni per prime. Gli 800 immigrati ammassati nell’impianto (mai entrato in funzione) dell’ex Opera Sila sono più o meno gli stessi che vivevano, in condizioni analoghe, nell’ex cartiera di Rosarno. Sbarrata quest’ultima dopo il ferimento a pistolettate, un anno fa, di due immigrati e una prima rivolta, gli 800 hanno solo cambiato "inferno". Intanto i due Comuni interessati, Rosarno e Gioia Tauro, sono stati (e non è certo una coincidenza...) sciolti per infiltrazione mafiosa. Ma neanche la diretta gestione da parte delle prefetture attraverso i commissari straordinari è stata capace di dare una svolta.Perché non è solo una questione di ordine pubblico. Malgrado pistolettate, rivolte e gambizzazioni. Se in migliaia ogni giorno si "prostituiscono" agli incroci della Piana di Gioia Tauro, aspettando di essere soppesati e assoldati dai "caporali"; se dopo fredde e interminabili giornate a raccogliere i dorati frutti degli agrumeti tornano a dormire tra mura diroccate, sotto teli e cartoni e perfino nei silos metallici; se al loro fianco hanno, come al solito, la sola preziosa e disinteressata presenza del volontariato; se vengono sfruttati e sottopagati con la scusa che il mercato degli agrumi non tira, davvero questa Italia non va. Non è solo colpa della ’ndrangheta, che certo su di loro si arricchisce e magari li usa come facile manovalanza criminale (Rosarno, ahimè, è un noto punto di transito della droga, «la farina» come la chiamano i corrieri di colore). E che forse ieri, come suo stile, ha voluto "fare giustizia" sparando ad altri due immigrati. Ma la ’ndrangheta non spiega tutto. Dove sono le organizzazioni imprenditoriali? Battano un colpo. Chiaro, netto. Magari, come Confindustria Sicilia, espellendo chi usa lavoratori in nero o irregolari. E lo battano le istituzioni, come già fanno in altre regioni o in altre zone della Calabria. Non ci saranno così più alibi per i violenti, italiani e immigrati.
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