sabato 14 aprile 2012
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Lo splendido colonnato di San Pietro esprime il grande abbraccio che la Chiesa cattolica dà a Benedetto XVI per i suoi ottantacinque anni. In quell’abbraccio ideale e forte vi è anche il mondo che riconosce in lui una luce per l’umanità intera: luce mite e chiara che indica, con le parole di Gesù e della universale ragione, la verità e il bene.È dunque una festa di famiglia, fatta di gratitudine al Signore che lo ha scelto come suo Vicario; al cardinale Joseph Ratzinger che ha accettato la volontà di Cristo sapendo che solo nell’obbedienza d’amore si sta vicini a Gesù; al Santo Padre Benedetto XVI, che con la preghiera e il pensiero, la parola e il governo, guida il popolo di Dio. Fin dall’inizio del supremo ministero, Benedetto XVI ha iniziato la sua “riforma” umile e lieta, consapevole che il problema urgente è quello della fede. La gioia della fede è il filo d’oro che ispira e raccorda ogni suo intervento. Ed è questa la risposta più importante di cui il mondo ha bisogno nella sua complessità: non tanto di mutazioni organizzative, ma di riforma dei cuori, poiché sono questi che danno anima e fecondità ai programmi e alle strutture. La santità – centro della riforma lieta di Papa Benedetto – non è una astrazione o un ripiego per sfuggire alla modernità ma, al contrario, è scendere al centro dei problemi dell’uomo contemporaneo. È vivere la fede con gioiosa consapevolezza che cambia la vita dei singoli e genera una umanità nuova, rapporti diversi, organismi vitali. Se la fede irrora i modi di pensare e di agire, allora il Signore è reso presente, e le società, le culture, gli Stati, ne sono beneficati. Allora, ovunque vi è una zolla di umanità, lì germoglia la speranza.È su questa strada di rinnovamento che il Papa conduce la Chiesa, sapendo che il mondo attende di intravvedere l’Invisibile attraverso la gioia dei redenti. E lo fa con mitezza, quasi in punta di piedi, sapendo di dover servire, ma anche con la tenacia del nocchiero in mezzo a venti a volte contrari. In forza di quel “sì” originario a Cristo, egli non porta avanti se stesso, non cerca il successo. Schivo, non vuole dimostrare nulla di personale né alla Chiesa né al mondo. L’unico desiderio è annunciare Gesù, luce delle genti. Qui sta la sua disarmante libertà, e quindi la pace.Il suo Magistero ricorda la bellezza della fede, una bellezza da riscoprire fresca e operosa pensando al mondo vivace e generoso dei giovani, e alla testimonianza dei cristiani segnati dalla miseria o perseguitati fino al sangue. Ricorda che la libertà riposa sulla verità. Non teme di entrare nelle questioni anche le più delicate: vi entra senza violenza, sempre riconoscendo il lucignolo acceso. Ma anche senza rinunciare a far risplendere la verità: quella di Cristo e quella dell’uomo, che in Cristo scopre il suo vero volto. Mi sembra che qui emerga in modo particolare la “profezia” di Benedetto XVI: egli indica la via della verità e della vita. Nei viaggi apostolici, infatti, ha spesso ricordato che l’umanità rischia di smarrire la strada dell’”umano”, di andare contro se stessa: il Vangelo è svelamento di Dio, offerta della sua vita, libertà dalle illusioni, felicità vera. Il suo stemma rivela qualcosa di quest’uomo, che Cristo sceglie all’improvviso come strumento docile, e che, con la conchiglia del pellegrino, indica la strada alla Chiesa universale verso i pascoli alti di Dio.Grazie Padre Santo. La Chiesa che è in Italia, insieme ai suoi Pastori, si stringe a Lei desiderosa di essere la prima e la più vicina, per dirLe: ad multos annos, Santità!
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