giovedì 29 marzo 2012
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​Gentile direttore,
lunedì sera ho visto su Tv2000, con grande piacere e partecipazione, la trasmissione "Amando fino alla fine" dedicata ai martiri cristiani. La prima parte, molto intensa, trasmessa dal teatro Argentina e la seconda parte in studio. Di quest’ultima parte mi hanno colpito due testimonianze. La prima di un frate cappuccino missionario che raccontava come una discarica di Maputo, in Mozambico, fosse fonte di vita per migliaia di persone, che da questa "mamma discarica" traggono il loro sostentamento. La seconda di un giovane sacerdote del Burundi sopravvissuto alla strage di Buta nel 1997 nella quale perirono 40 suoi colleghi seminaristi. Fra Domenico ha testimoniato come quella discarica gli abbia cambiato la vita perché ha toccato con mano la povertà di gente che, nonostante i tanti problemi patiti, ringraziava Dio di poter sopravvivere. Ho fatto un paragone col nostro tenore di vita, le nostre priorità. Adesso parliamo di «spread»; temiamo di non poter andare avanti a causa delle nuove tasse; ci mancheranno la gita fuori porta, le vacanze estive e, magari, gli abiti "alla moda"; molti sentono incerta la sopravvivenza anche se abbiamo istituzioni come la Caritas che aiuteranno i meno abbienti. Ma sicuramente non arriveremo mai a decidere che una discarica potrà essere il nostro sostentamento, la nostra ragione di vita. Quindi, riflettendo, ho pensato che quella discarica rappresenta un messaggio per ricordarci che ci sono altri che vivono molto peggio di noi, ma che affrontano con dignità e amore una situazione che è molto più vicina a Dio della nostra. Della seconda vicenda mi ha colpito la serenità di don Idelhnonse, pur colpito anche lui a una gamba, ma più fortunato dei suoi confratelli uccisi barbaramente solo perché contrari all’ordine dei soldati che, entrati nel seminario, volevano separare gli Hutu dai Tutsi. Per 40 di loro non ci fu scampo. Ma come fa un cristiano a tradire il proprio simile, interessarsi solo di se stesso e non aver compassione dell’altro? Ecco quindi l’eccidio. Ma Dio per don Idelhnonse era talmente vicino a loro che con amore pregavano: «Perdona loro Signore perché non sanno quello che fanno». Su quel luogo adesso è stato eretto un santuario dedicato ai martiri della fraternità. Come sono diversi da molti di noi che utilizzano la fede in base al proprio tornaconto! Si sente spesso parlare di incomprensioni nei vertici della Chiesa. Le nostre parrocchie da luogo di incontro, di comunione, talvolta si riducono a luoghi dove si entra solo per ricevere i Sacramenti e, forse, per rispettare le feste religiose più importanti. Io parlo per esperienza della mia parrocchia dove è difficile recuperare un gruppo di persone per partecipare alle catechesi, che soprattutto in questo periodo di Quaresima sono importanti per riflettere sul nostro essere cristiani. Dobbiamo svegliarci, perché siamo su una china pericolosa. Ben vengano quindi trasmissioni del genere, perché scuotono i nostri animi e il nostro cuore, aiutandoci a capire che la cosa più importante è davvero l’amore verso Dio, verso il prossimo e, per questa via, verso noi stessi. Mi scusi delle troppe parole. Non so se potrà pubblicare questa lettera ma mi sono molto emozionato e mi sentivo dal profondo di dare voce a quello che il mio cuore aveva recepito.
Roberto Berni - Poggio Moiano (Ri)
Alle sue «troppe parole», che in verità non sono affatto di troppo, ne aggiungo solo poche delle mie, caro signor Berni. Lei fa capire assai bene a tutti a che cosa serva non solo approfittare dell’informazione garantita da Avvenire, ma anche dell’ottimo lavoro realizzato dagli amici e colleghi di Tv2000 (e aggiungo di Radio inBlu). C’è un’«altra televisione» che può e deve essere fatta e che, però, si può già trovare e scegliere – il canale 28 sul digitale terrestre è il numero giusto – esercitando quella libertà di telecomando che raccomandiamo sempre e che è il migliore investimento da compiere davanti al piccolo schermo.
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