sabato 8 febbraio 2014
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La fiducia, in Italia, sembra proprio «divenuta un bene scarso». Almeno in base alla 'fotografia' offerta dai dati di una recente indagine Demos (l’Istituto di ricerca politica e sociale fondato da Ilvo Diamanti). Secondo questa inchiesta, infatti, più del 60% degli italiani ritiene che «gli altri, se si presentasse l’occasione, approfitterebbero della mia buona fede»: dunque, meglio diffidare.
La sfiducia verso gli altri alimenta l’incertezza nel futuro e diverse paure ed è un atteggiamento trasversale, che secondo Demos colpisce, con singolare intensità, il 75% dei giovani-adulti (fra 25 e 34 anni), con incremento di oltre 10 punti di più rispetto a dieci anni fa, quando essi apparivano meno diffidenti confrontati con altri settori della popolazione.
È, questa, una situazione di estrema gravità perché la fiducia negli altri è assolutamente cruciale e necessaria. Infatti, noi facciamo atti di fede­fiducia ogni volta che riteniamo vera una cosa, un’affermazione, un evento, ecc. che non abbiamo sperimentato direttamente e che apprendiamo da giornali, radio, televisione, libri, Internet, parlando con familiari, amici, colleghi, clienti, fornitori... Ora, già Confucio insegnava che i Capi di Stato hanno bisogno di fiducia, senza la quale non si resiste. Le armi da sole non impediscono la sconfitta se i soldati perdono la fiducia nell’esito della battaglia, né la fame (purché non sia estrema) fa crollare da sola una nazione se quest’ultima ha fiducia nel governo che la presiede e in chi la difende. Ma della fiducia hanno bisogno non solo i capi di uno Stato già costituito: essa è necessaria per la stessa formazione iniziale della vita sociale, perché dobbiamo aver almeno fiducia nel fatto che gli altri non ci stiano ingannando mentre stipuliamo le regole di base e diamo vita a una Costituzione.
Del resto, le stesse regole e le procedure per indurre le persone a rispettare gli obblighi sono anch’esse qualcosa di cui ci dobbiamo fidare e, in generale, ogni garanzia rinvia a un ultimo garante di cui dobbiamo fidarci. Anche la divisione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) dello Stato non è un meccanismo autosufficiente, perché gli esponenti di uno dei tre poteri possono allearsi con gli esponenti degli altri a svantaggio del popolo. La fiducia è, insomma, una componente costitutiva della vita sociale, anche economica, e all’interno di tutte le istituzioni. Come spiegano esponenti dell’economia civile come Luigino Bruni e Leonardo Becchetti, ben noti ai lettori di Avvenire (perciò su questo aspetto sarò stringato), le relazioni interpersonali economiche si svolgono in un contesto di incompletezza informativa (non sappiamo mai fino in fondo chi abbiamo davanti) e dei contratti (non ci è possibile garantirci da comportamenti scorretti contrattualizzando tutte le possibili situazioni).
Senza fiducia non è possibile fare progetti di lungo periodo, edificare opere significative di natura materiale o spirituale, perché piuttosto prevalgono la paura e/o l’apatia, fino all’inerzia. Senza fiducia, tutte le relazioni sociali (dirette o indirette, personali o anonime, ecc.) diventano invivibili, in quanto gran parte della nostra vita dipende dall’agire altrui, su cui abbiamo bisogno di fare affidamento: mangio una pietanza perché mi fido che non sia avvelenata, bevo una bevanda perché mi fido che non sia tossica, guido un’automobile senza paura che si incendi perché ho fiducia nei costruttori, eccetera. Gli esempi si potrebbero moltiplicare all’infinito. Senza fiducia la cooperazione scompare quasi del tutto e non potremmo quasi alzarci dal letto la mattina.
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