sabato 28 aprile 2012
COMMENTA E CONDIVIDI
L'​istantanea è inevitabilmente ancora piuttosto grezza. I dati provvisori resi fin qui disponibili sono consistenti ma necessariamente sintetici e bisognosi di approfondimento. Eppure i primi risultati del 15° censimento della popolazione e delle abitazioni, realizzato il 9 ottobre scorso, offrono già uno spaccato significativo dell’Italia in cui viviamo. Ed è merito innegabile dell’Istat essere riuscito già in poco più di sei mesi a darci una serie di flash illuminanti, che aiutano a capire meglio non solo quanti e dove siamo, ma anche come ci stiamo trasformando e che genere di Paese stiamo diventando. Elementi utili per riflettere ma anche per agire, vista l’aspra temperie economico-sociale che stiamo vivendo e le scelte cruciali che chi governa deve compiere. Tra le prime "zoomate" consegnate ieri all’opinione pubblica colpiscono certo i numeri complessivi, che confermano per la nostra Penisola l’identikit di una grande entità nazionale: quasi 60 milioni di residenti stabili, dove la quota ufficiale di stranieri si attesta a un livello da realtà avanzata (6,34 per cento), il cui incremento assorbe quasi esattamente la crescita totale della popolazione rispetto al 2001. Il che equivale a dire che la componente "tricolore" di chi abita nello Stivale è ferma a dieci anni fa. L’Istat parla di «tendenziale staticità demografica», ma francamente l’espressione, ineccepibile sul piano scientifico, ne suggerisce altre un pizzico più desolanti: del genere "stagnazione" o "paralisi". Non occorre infatti un master per capire che, in questo frattempo, se siamo rimasti gli stessi in termini numerici, tutti quanti ci ritroviamo mediamente sulle spalle dieci anni in più. Ci vorrà un po’ di pazienza per disporre dei dettagli sulla nuova struttura delle età, ma già a occhio e croce si può immaginare che il tasso generale di invecchiamento del Belpaese, malgrado l’apporto delle aliquote più giovani di immigrati, risulterà sensibilmente appesantito. Un altro elemento degno di nota è la crescita consistente del numero delle famiglie: sono oggi 24 milioni e mezzo, circa 2 milioni e 700 mila in più della precedente rilevazione, con una composizione media scesa da 2,6 a 2,4 membri per nucleo. Anche qui, ragionando a spanne e sfidando le ire dei custodi del rigore matematico, dobbiamo desumere che la consistenza delle famiglie di immigrati sia superiore a quella di noi "indigeni", vista la loro maggiore propensione a fare figli: e dunque i "mininuclei" sono sempre più largamente diffusi tra i nostri connazionali. Riassumendo in termini molto terra terra, stiamo diventando decisamente più anziani e viviamo in misura crescente da soli o con un unico congiunto. Le famiglie con più di due figli si possono considerare quasi un genere da collezione, mentre si diffondono le "famigliette", con intuibili conseguenze in termini di fragilità sociologica e di coesione sociale. Ma anche con pesanti ricadute sui costi economici attuali e futuri, visto che non è la stessa cosa garantire assistenza e cura a un esercito di single o a una rete di nuclei caratterizzati da solidi legami interni. Senza contare che, proprio mentre si alimenta un tifo da stadio in favore di crescita e sviluppo, percentuali via via maggiori di italiani che devono pensare per lo più solo a se stessi avranno sempre minori stimoli a buttarsi in avventure capaci di dare impulso alla macchina produttiva. Un’ultima notazione merita la situazione delle abitazioni. L’Istat ne ha censite circa 29 milioni, quasi il 6 per cento in più rispetto al 2001, un dato che stride dolorosamente con l’altro elemento anticipato ieri: ossia il numero più che triplicato delle famiglie che vivono in baracche, roulotte o altri ricoveri di fortuna. Erano poco più di 23mila dieci anni fa, sono oltre 71mila adesso. Un aumento definito da Giovannini e dal suo staff «vertiginoso» e che, aldilà di tutte le possibili spiegazioni legate al boom immigratorio, obbliga a riflettere. Fermo restando, tuttavia, che una situazione di emergenza abitativa si può sempre aggredire con strategie mirate e immediate. Molto più difficile, ma forse ancora più urgente, è provare a ridare sprint e voglia di mettersi in piedi a un popolo "seduto" e demograficamente "sazio e disperato".
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: