domenica 4 settembre 2011
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Eventi come i Congressi eucaristici sono spesso esposti a un rischio. Quello di essere visti, soprattutto dall’esterno, come appuntamenti poco più che celebrativi e in fondo riservati al pubblico devoto della Chiesa cattolica. Il Congresso eucaristico nazionale di Ancona, che per una felice coincidenza cade proprio nel 150° dell’unità d’Italia, fin dalla sua preparazione e dall’esordio di ieri ha voluto sfatare questa falsa immagine, avviandosi con decisione su una strada diversa. Se, infatti, l’Eucaristia è principio di vita, non la si può confinare certo negli angusti confini di un certo modo di intendere il sacro, ma va messa in diretta connessione con tutti gli ambiti dell’esistenza umana: affettività, sofferenza, festa e lavoro, presenza dei cristiani nel mondo, e naturalmente quel retaggio culturale e antropologico che ci permette di essere ciò che siamo e che con una parola di grande spessore semantico, oggi purtroppo fraintesa nel suo autentico significato, chiamiamo 'tradizione'. Tradere, infatti, significa tramandare e indica quindi un movimento in avanti, non certo uno stantio ancoraggio a qualcosa di obsoleto e di sorpassato. Proprio come si propongono gli organizzatori del Congresso eucaristico di Ancona, quando affermano – come ha fatto qualche giorno fa su queste colonne l’arcivescovo Edoardo Menichelli – che dal Congresso eucaristico deve venire «un messaggio di speranza per tutto il Paese». Speranza. Cioè un soprassalto di fiducia, un moto, appunto, in avanti, orientato decisamente verso il futuro del quale non bisogna avere paura, pur in mezzo a difficoltà che nessuno intende sottovalutare. Dunque questo Congresso eucaristico nazionale tutto è tranne che un evento esclusivamente devozionale o 'interno'. Al contrario è un pressante invito, rivolto all’Italia intera, a incamminarsi nuovamente su quella rotta che per duemila anni ne ha fatto la culla del cristianesimo e un faro della civiltà mondiale. Cristianesimo e civiltà sono nella Penisola elementi inscindibili come le due facce della stessa medaglia. E in questo anniversario dell’unità nazionale lo ha ricordato anche il Papa - che ad Ancona è atteso per domenica prossima ­nella sua lettera del 16 marzo scorso al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Se quindi, come scriveva in quella occasione il Pontefice, «il Cristianesimo ha contribuito in maniera fondamentale alla costruzione dell’identità italiana attraverso l’opera della Chiesa, delle sue istituzioni educative e assistenziali» e anche mediante «una ricchissima attività artistica», non è possibile tacere che tutto questo è avvenuto grazie a uomini e donne che per secoli si sono nutriti al banchetto eucaristico e hanno fatto propria la logica di donazione senza limiti insita nello spezzare il Pane. Oggi più che mai, di fronte alle insidie sempre più evidenti e agli esiti sempre più disastrosi dell’individualismo, quella logica deve tornare al centro della vita del Bel Paese. Nella Chiesa il frutto più evidente dell’Eucaristia è la comunione. Tradotto in termini civili si può parlare di coesione nazionale contro le spinte centrifughe, di solidarietà che cancella le chiusure egoistiche, di ricerca del bene comune al posto del trionfo degli interessi di parte e di ricostruzione del tessuto sociale a partire dalla famiglia come antidoto alla disgregazione, alla devianza e allo scoramento, soprattutto giovanile. Il Congresso eucaristico che si propone di guardare a tutti gli ambiti della vita può essere, dunque, la bussola capace di riportare l’intero Paese su questa rotta. Che è poi quella che l’ha reso grande. Prima e dopo l’unità politica.
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