venerdì 11 settembre 2015
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«Esperti militari russi lavorano in Siria e aiutano l’esercito siriano ad imparare a utilizzare le nostre armi. La Russia continuerà ad aiutare Damasco per prevenire che in Siria si verifichi uno scenario simile alla Libia». Le parole ben calibrate e altrettanto criptiche del ministro degli Affari Esteri russo Sergeij Lavrov sembrano ricondurci agli anni caldi del confronto diretto fra le superpotenze, quando al vertice della diplomazia sovietica c’era Andreij Gromyko e il duello muscolare fra Washington e Mosca era palese. Qualcosa in effetti negli ultimi giorni è cambiato. Qualcosa di decisivo, in grado di sparigliare il quadro strategico e al tempo stesso mettere in subbuglio e in allarme l’intero quadrante mediorientale. Perché al di sotto del velo di ambiguità con cui il Cremlino è uso confezionare le proprie dichiarazioni ufficiali un fatto è certo: quei fanti di marina russi che stanno sbarcando a Latakia (la più importante città portuale della Siria), affiancando i militari presenti da tempo e attivi non solo come “consiglieri”, hanno il duplice scopo di sorreggere il traballante regime di Bashar al-Assad e soprattutto di garantire a Mosca il controllo del tratto di costa fra la Turchia e il Libano. Ad assicurare la rotta dei giganteschi Antonov con cui Putin sta trasferendo mezzi pesanti, personale militare e materiale per installare un quartier generale permanente ci ha pensato l’Iran, che ha concesso ai russi quel sorvolo che Bulgaria e Grecia avevano, invece, negato.A che cosa sta puntando Vladimir Putin? Decifrare le mire del presidente russo è impresa piuttosto ardua: l’uomo del Cremlino gioca la propria partita sempre al limite del bluff (la Georgia, la Crimea, l’offensiva nel Donbass ucraino ce lo ricordano), pronto a ritrarsi secondo convenienza e altrettanto pronto a smentirsi quando è opportuno. Questa volta però l’intento pare abbastanza evidente: la costa siriana e il suo entroterra – quel litorale su cui si affaccia anche lo strategico porto di Tartus, nel quale dal 1971 Mosca vanta l’unica base navale del Mediterraneo (pudicamente classificata come “Punto di supporto tecnico”) – potrebbero diventare nel breve futuro il “ridotto” in cui ricoverare Assad e ciò che resta del suo governo. La regione è a forte presenza alawita, la confessione religiosa minoritaria, parente prossima del credo sciita (lo stesso di Teheran e degli Hezbollah libanesi), di cui fa parte la famiglia Assad, ed è qui – nel caso fortuito in cui il presidente siriano riesca in qualche modo a rimanere in sella – che ciò che resta del regime finirebbe per trasferirsi. Sotto tutela russa, ovviamente, storico alleato di Damasco e pronto a costituire un’enclave nelle acque calde per le proprie navi. Esattamente ciò che Putin ha appena fatto poco più di un anno fa annettendosi la Crimea e prendendo definitivo possesso della base navale di Sebastopoli sul Mar Nero.Grande, a questo punto, la confusione sotto il cielo. Ancor più grande dei mesi scorsi, quando già emergeva un asimmetrico puzzle di alleanze (Washington e Teheran insieme contro l’Is, ma al tempo stesso il califfato e le democrazie occidentali in inconcepibile alleanza anti-Assad), con una mescolanza di obbiettivi e di veti (la Nato che caldeggia la caduta del regime di Damasco, Francia e Gran Bretagna pronte a impegnarsi direttamente nei raid aerei, dimentiche di come le guerre con i droni e i cacciabombardieri - la Libia insegna - non si possono mai vincere). E ora, a sparigliare i giochi, la variabile Putin. Essenziale e pericolosissima, come ogni volta che il leader russo muove le sue pedine. «La minaccia proveniente dallo Stato islamico è evidente – fa sapere il Cremlino –: l’unica forza in grado di contrastarla è quella delle forze armate siriane». O per meglio dire, le forze armate siro-russe, a prescindere ormai dal fatto che la divisa indossata sia o non sia più solo quella di Damasco. Un dettaglio al quale nessuno ormai fa caso. Da un po’ il gioco si è fatto più vasto, gli equilibri che vengono toccati più delicati e il pericolo di un confronto denso di incognite tra Mosca e la Nato sempre più evidente, anche per il ruolo svolto in varie forme sul campo da britannici e francesi (oltre che dagli Usa) per alimentare il fuoco della guerra civile. A farne le spese per primi saranno ancora una volta, come in tutti questi quattro anni di tragedia, i profughi che tenteranno di lasciare la Siria, ora più che mai sanguinoso teatro per i tanti appetiti delle fazioni in campo.
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