mercoledì 20 aprile 2022
Mariupol non si arrende e il fuoco sul Donbass non muove il fronte. Mosca deve confrontarsi con uno scenario in cui avrà estrema difficoltà a controllare qualsiasi porzione di territorio conquistata
Guerra giorno 56: che cosa può significare per la Russia conquistare un Paese
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La fase due della guerra, arrivata al giorno 56, esattamente otto settimane dall'inizio dell'invasione il 24 febbraio scorso, è segnata dalla pioggia di fuoco dell'Armata russa sull'Est dell'Ucraina. Mentre Mariupol resiste a tutti gli ultimatum e rifiuta le offerte di una resa, non sembra che le truppe di Mosca riescano per ora a compiere avanzamenti significativi. C'è chi vede questa seconda fase come caratterizzata dalla superiorità degli uomini e dei mezzi messi in campo dal Cremlino. Ma c'è anche chi individua segnali di nervosismo provenienti dai vertici politici e militari. In primo luogo, c'è il fatto che si sia deciso in queste ore di testare, con ampio risalto mediatico, il nuovo missile balistico intercontinentale Sarmat. Di esso, il presidente Putin ha detto che "ha le qualità tattiche e tecniche più elevate ed è in grado di eludere qualsiasi sistema di difesa antimissile". "Farà riflettere coloro che ci minacciano", ha poi chiosato, con un messaggio chiaramente rivolto al fronte occidentale che fornisce armi a Kiev. La reazione americana è stata improntata alla cautela: un'esercitazione di routine, di cui era stato dato avviso preventivo, come previsto dai trattati in materia.

Ma non c'è solo il missile Sarmat. Si fa notare che ormai la Russia si descrive come opposta alla Nato in quanto tale. Per cui l'incrociatore "Moskva" non è stato affondato dall'esercito ucraino ma dai missili dell'Alleanza atlantica. Un modo per salvare la faccia di fronte ai rovesci bellici che, se inflitti da un Paese "che non esiste", corrotto e da bonificare, risulterebbero inaccettabili e poco giustificati agli occhi dell'opinione pubblica interna. Il punto che più dovrebbe però preoccupare il Cremlino sembra un altro. Ed è precisamente quello della "conquista" di una nazione che per la gran parte si sta battendo con tutte le sue forze per resistere all'aggressione armata. Se il piano iniziale di un blitz e di un governo amico insediato al posto di Zelensky e i suoi poteva avere qualche plausibilità strategica (al di là dei calcoli errati sulla sua fattibiiltà), oggi controllare le zone eventualmente occupate in modo permanente diventerà per Mosca una sfida ad altissimo rischio.

Se si pensa alla maggior parte dei conflitti recenti, anche quelli che hanno coinvolto la Russia, emerge che non si tratta di uno scontro tra Stati sovrani, ma tra componenti dello stesso Paese. In Siria, Putin ha puntellato Assad combattendo brutalmente lo Stato islamico e tutti gli elementi di opposizione al regime. In Libia, l'intervento è stato per cercare di fare evolvere la guerra civile in una specifica direzione. Lo stesso accade con i mercenari e le truppe speciali inviate in Africa, dove prima era prevalente l'influenza di Parigi. In qualche modo, l'invasione russa somiglia più a quella dell'Iraq in Kuwait nel 1990 che a qualsiasi altro focolaio bellico contemporaneo, dall'Etiopia al Libano. Ma non sono le analogie, più o meno strette, che contano. Il Cremlino dovrà misurarsi, ammesso che riesca a realizzare i suoi piani più ottimistici, con il risentimento profondo di gran parte della popolazione, che sta assistendo a massacri e distruzioni sistematici e immotivati.

Non c'è oggi una frazione filo-russa dei 44 milioni di ucraini sufficiente a garantire un nuovo assetto del Paese intero. Probabilmente, non c'è nemmeno nel Donbass, inteso come l'intera parte Est della nazione, al di là delle province di Donetsk e Lugansk, già sotto l'amministrazione ombra di Mosca. La soluzione poteva essere in una delle condizioni poste dal Cremlino nei primi giorni di negoziati: la completa smilitarizzazione dell'Ucraina che accompagnasse la scelta di neutralità. Qualcosa che adesso appare davvero difficile da riproporre. Con il massiccio afflusso di armamenti occidentali, la guerra è destinata a prolungarsi e lo scenario minimo per Mosca sembra essere diventato implicitamente una ridotta conquista territoriale con un inevitabile "scambio" di residenti. I filorussi che vogliono stare con la Russia potranno andare nelle province "allargate" di Donetsk e Lugansk e coloro che non vorranno restare potranno migrare nell'Ucraina "libera". Uno scenario ancora lontano e che tuttavia si affaccia tra quelli, tutti negativi, che questa guerra sta prospettando.



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