mercoledì 30 marzo 2022
Mosca non ferma i raid nel Sud dell'Ucraina. Le speranze in negoziati brevi per la tregua si affievoliscono. Putin potrebbe voler chiudere la partita in Donbass prima dell'intesa. Il ruolo occidentale
Guerra, giorno 35: i dubbi sulle intenzioni russe e il decisivo fattore tempo
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Quanto sono promettenti i colloqui avviati a Istanbul fra le delegazioni delle due parti in guerra? In poche ore un cauto ottimismo ha lasciato il posto a molti dubbi sulla volontà e la possibilità di arrivare in tempi rapidi a un cessate il fuoco completo e a una tregua duratura. Le rassicurazioni di Mosca su un allentamento della pressione militare contro la capitale e altre zone del Nord non si è materializzata, e le bombe continuano a cadere, anche se le truppe hanno compiuto una manovra di disimpegno. Sugli altri fronti la battaglia continua a infuriare. L'Armata russa cerca di sfondare a Est per guadagnare la mezzaluna a sinistra del Dnepr, che le consentirebbe il controllo del Donbass e il collegamento con la Crimea.

Gli annunci del Cremlino, più che ingannatori e manipolatori, sembrano caratterizzati da una certa confusione. Un giorno dopo il primo round di negoziati, sono arrivati due commenti di segno molto diverso dal portavoce Peskov e dal ministro degli Esteri Lavrov (nella foto). Il primo ha fortemente ridimensionato i passi avanti, mentre il secondo ha parlato di progressi significativi. Si tratta probabilmente di un gioco delle parti che potrebbe consentire a Mosca di guadagnare tempo prezioso sul campo, prima di aprire davvero a un accordo di pace alle proprie condizioni.

Il dubbio è infatti che Putin non abbia cambiato idea sugli obiettivi principali della "operazione speciale", come ci si ostina a chiamarla ufficialmente in Russia, con la minaccia di 15 anni di carcere ai trasgressori. La sola offerta di neutralità, con la rinuncia definitiva al nucleare, all'adesione alla Nato e a basi militari straniere, messa sul tavolo da Zelensky davanti al presidente turco Erdogan non può giustificare una guerra che è costata la vita a migliaia (nelle stime più ottimistiche) di soldati russi. Hanno fatto impressione le recenti foto della decorazione in ospedale di alcuni militari rimasti mutilati nelle operazioni in Ucraina.

Dato che difficilmente riuscirà a scalzare Zelensky dal potere, consolidare il controllo del Donbass diventa la soglia minima per il Cremlino, se vuole presentare al Paese una "vittoria" credibile. Si affacciano tuttavia i fantasmi degli accordi di Khasavyurt del 1996, che misero fine alla prima guerra cecena. Furono un'ammissione di debolezza per Eltsin, ma non risolvere i problemi territoriali minò il seguente Trattato di Mosca, che la Russia stracciò per riprendere la guerra nel 1999 e poi annettersi la regione ribelle.

Nemmeno da Kiev, comunque, arrivano segnali incoraggianti, poiché proprio sul Donbass viene rifiutata qualsiasi concessione. Che accordo allora si può raggiungere? L'Ucraina è probabilmente disposta a un compromesso onorevole, conscia che la resistenza sul campo non potrà durare indefinitamente e che dall'Occidente arriveranno armi difensive e non in quantità sufficiente per reggere l'urto di un'Armata riorganizzata e rifornita. Mosca potrebbe invece, come detto, avere interesse a prolungare la trattativa per ottenere il tempo necessario a un'ulteriore avanzata. Ma Putin ha le forze necessarie? Voci gli attribuiscono una conoscenza non completa delle reali condizioni del suo esercito e del suo apparato (ovviamente, sconosciute anche agli analisti internazionali). Difficile pensare che gli stessi errori siano ripetuti all'infinito. Se esiste una motivazione per cui il Cremlino alla fine si potrà acconciare a negoziare sul serio, essa sarà la pressione complessiva sia bellica sia economica prodotta dalle sanzioni.

In questo quadro, riacquistano un peso rilevante le mosse degli altri attori della crisi. Da una parte, la Cina ha espresso nuovamente sostengo a Mosca, parlando di "assenza di limiti alla cooperazione" fra i due Paesi. Dall'altra, l'Europa ha ripreso la sua spinta diplomatica con le telefonate di Macron e Draghi al presidente russo per chiedere una tregua, mentre il premier britannico Johnson ha negato di volere puntare a un "cambio di regime". Resta l'incognita della posizione americana: sostiene lo sforzo bellico ucraino e potrebbe orientare le sue future scelte in dipendenza dell'andamento del conflitto. Si tornano dunque a scrutare gli scenari militari, mentre altre atrocità sono segnalate nella martoriata Mariupol (dove Putin ha offerto alla fine il cessate il fuoco) e in altre zone sotto assedio da parte delle truppe russe.





Purtroppo, il conflitto non sembra perciò così vicino alla sua fine.

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