lunedì 2 giugno 2014
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​La prossima tappa è nelle mani di Dio», aveva detto Atenagora al suo ritorno da Gerusalemme dopo l’incontro con Paolo VI. Il solo titolo che il patriarca ecumenico di Costantinopoli si era dato firmando alcuni dei suoi messaggi era stato il seguente: «Fervente intercessore presso Dio, per voi tutti». «Le volontà di Dio entrano nel tempo quando il tempo è maturo, quando si offre», confidava poi ancora Atenagora a Olivier Clément e riprendeva: «Il nostro compito è far maturare il tempo. Ho visto già molti miracoli. Sono accadute tante di quelle cose che sembravano impossibili! L’incontro di Gerusalemme, il mio viaggio a Roma… L’unione arriverà. Sarà un miracolo dentro la storia. Quando? Non possiamo saperlo. Ma dobbiamo preparaci a questo. Perché un miracolo è come Dio: sempre imminente». Una settimana fa al Santo Sepolcro, il tempo di Dio ha ripreso a correre avanti. Papa Francesco in poche righe esprimeva al successore di Atenagora, Bartolomeo I, tutta la sua sincera "gioia" di incontrarlo a Gerusalemme, «per portare avanti con l’audacia dettataci dallo Spirito Santo, il compito che i nostri venerati predecessori hanno lasciato». E in greco scriveva alla fine: «Vi abbraccio con molto amore in Cristo». Sono parole che abbiamo visto realmente in atto nel loro incontro, fatto di vicendevoli scambi di attenzione, di reciproca e fraterna fiducia. Come i due fratelli del Vangelo, Andrea e Pietro, dove il "primo chiamato" chiama suo fratello Pietro conducendolo a Gesù. Nell’incontro del successore dell’apostolo Andrea e del successore di Pietro nel luogo della Risurrezione e delle divisioni dei cristiani, abbiamo visto in loro la sintonia, la comunione, come se nulla li avesse mai separati. L’uno che non può procedere senza l’altro. In una convergenza provvidenziale di familiarità con il Mistero, di visione della Chiesa come organismo di amore, in una ritrovata primavera evangelica che diventano criterio comune. Abbiamo così d’un colpo percepito come la fraternità cristiana non è qualcosa di emotivo o sentimentale ma è basata sull’unico battesimo comune e sulla stessa fede in Cristo e che è su questa base che i cristiani si considerano fratelli e sorelle. E come l’ecumenismo smetta così di essere mera diplomazia o un adempimento forzato, per trasformarsi in una via imprescindibile dell’orizzonte ecclesiale. Abbiamo allora compreso come ecumenismo non significa disegnare egemonie mondane, né abbia ragioni ideologiche, né sorvoli su tutte le differenze. Non si tratta di una reductio ad unum, ma di una via essenziale nel cammino della Chiesa e perciò obbligo di ogni cristiano. E come esso è –per così dire, insieme con la missione universale, sua gemella – il cantiere del futuro della Chiesa. E abbiamo avuto chiaro quanto esso sia necessario nel mondo presente segnato da conflitti etnici, religiosi, sociali e nel quale non c’è alternativa per i cristiani che stare insieme e dare testimonianza del Vangelo, della riconciliazione e della pace. Un’esigenza, questa, che non è solo di adesso ma era presente fin dall’inizio. Nell’anno 364, quando fu ristabilita la pace nella Chiesa di Nazianzo dopo un conflitto, san Gregorio esprimeva la tragedia della spezzata unità dell’eredità di Cristo e dichiarava con dolore che «a causa della divisione, il Corpo di Cristo era stato dilaniato». Nella sua Oratio egli descriveva l’assurdità di tali divisioni: «Noi che amiamo così tanto Cristo, abbiamo diviso Cristo. Per amore della verità, ci siamo mentiti a vicenda... per amore della pace abbiamo fatto la guerra». E aggiungeva: «Comportandoci in questo modo, noi siamo diventati lo zimbello di coloro che non credono, e oggetto di disprezzo da parte delle nazioni». Anche da queste parole si comprende quanto sia urgente la pace tra i cristiani e la loro unità. «L’unità è una grazia che si deve chiedere – ha ribadito Francesco – per poter camminare verso forme comuni di annuncio, di servizio, di testimonianza». Al suo rientro da Gerusalemme, Bartolomeo ha espresso pieno appoggio alle iniziative messe in campo da Francesco per la pace in Medio Oriente. Esse rappresentano un modo diverso di essere presente nei problemi del mondo, fuori dalle logiche asfittiche degli identitarismi, dei nazionalsmi e degli interessi di parte. E ha indicato come Francesco può diventare anche in questo un punto di riferimento per i fratelli delle Chiese ortodosse. Un amico con cui sostenersi e da sostenere per camminare insieme. Il patriarca di Costantinopoli ha affermato che nel corso del loro fraterno incontro a Gerusalemme hanno parlato dell’effettiva possibilità di avviare iniziative comuni e hanno prospettato nell’orizzonte del cammino anche la realizzazione di un’idea suggestiva: celebrare insieme, tutti i cristiani, i 1700 anni dal Concilio di Nicea del 325 che ha confessato e definito le verità fondamentali della fede cristiana. Bartolomeo ha inoltre rivelato e annunciato che il dialogo anche teologico ripartirà da Gerusalemme. Proprio la Città Santa ospiterà a ottobre prossimo la sessione di lavoro della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa che dal 2007, sulla base del documento di Ravenna, sta discutendo la questione del Primato e dell’autorità della Chiesa. Un passo concreto molto importante. Non solo perché è la prima volta che questa commissione si riunisce a Gerusalemme e riprende i lavori dopo un periodo di stallo del processo di dialogo, ma soprattutto perché sembra che questa volta vi prenderà parte anche la delegazione del Patriarcato di Mosca. Nel 2007 la delegazione ortodossa russa aveva infatti abbandonato la Commissione esprimendo il suo disaccordo con la parte del documento di Ravenna dove si fa riferimento alla sinodalità e al primato nella Chiesa universale e non ha più preso parte alle successive sessioni plenarie riunitesi a Cipro (2009) e a Vienna (2010). Tutto dunque ricomincia da Gerusalemme. A grandi passi. La storia corre avanti. E nell’orizzonte di criteri comuni non si lasceranno cadere ora i pezzi per strada.
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