mercoledì 7 gennaio 2015
Prevenzione inutile? No, non c’è unicamente il caso.
di Assuntina Morresi
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​È sorprendente la linea editoriale seguita dalla prestigiosa rivista Science sul lavoro di due studiosi, Cristian Tomasetti e Bert Vogelstein, riguardo i rischi di ammalarsi di tumore, lavoro che ha fatto notizia in tutto il mondo. L’articolo in questione, come è noto grazie alle anticipazioni dei giorni scorsi, analizza 31 tipi di cancro, e conclude che due terzi sono dovuti a fattori casuali, mentre un terzo ad ambiente e caratteristiche genetiche. I "fattori casuali" sarebbero legati alla quantità di divisioni cellulari delle cellule staminali dei vari tessuti che costituiscono il nostro corpo: più le cellule staminali di un tessuto si dividono naturalmente, più è alta la probabilità di contrarre un tumore in quel particolare tessuto, perché è durante la divisione cellulare che si verificano casualmente mutazioni ed errori a carico delle cellule stesse. Parlo di sorprendente linea editoriale perché l’espressione "sfortuna" (bad luck), attribuita alle cause di circa il 66% dei tumori, compare virgolettata nel riassunto che precede l’articolo, e quindi non solo è farina del sacco degli stessi autori, ma ha anche evidentemente incontrato l’approvazione di referees (coloro che sono incaricati di valutare il testo con cui si propongono i risultati di una ricerca) ed editors (i responsabili del giornale), che l’hanno lasciata passare. Tutti inconsapevoli, si deve pensare, dei suoi effetti potenzialmente disastrosi presso l’opinione pubblica: perché sacrificarsi per adottare stili di vita che chiedono fatica e rinuncia al piacere, se ammalarsi o meno dipende, nella gran parte dei casi, da qualcosa che è fuori della nostra portata?
Nel merito delle argomentazioni dell’articolo si è già espresso con molta efficacia Silvio Garattini, che ha ribattuto a molte affermazioni e ha chiarito diversi concetti: per esempio, bisognerebbe essere certi che i dati di letteratura su cui i due ricercatori hanno costruito la loro ipotesi siano stati validati, e va anche ricordato che lo studio è effettuato su un certo numero di tumori – che non comprende alcuni dei più diffusi – e non sul numero degli ammalati di tumore, considerando il quale probabilmente le conclusioni si ribalterebbero. Ma soprattutto, osserva Garattini, «molto spesso ciò che si chiama "caso" dipende dalla nostra ignoranza», ed è questo l’aspetto che colpisce dell’articolo. Gli autori non scrivono mai esplicitamente che di quelle mutazioni che avvengono nel 66% dei casi non si conoscono le cause, come invece ci si aspetterebbe che commentassero degli autentici scienziati. Nel testo si legge invece: «Il concetto sottostante il presente lavoro è che molti cambiamenti di tipo genetico avvengono semplicemente per caso durante le repliche del Dna, piuttosto che come risultato di fattori carcinogeni». Non solo: nelle interviste rilasciate, rafforzano questo concetto, affermando per esempio (Vogelstein) che «tutti i tumori sono causati da una combinazione di sfortuna, ambiente ed eredità: abbiamo creato un modello che può aiutare a quantificare quanto ciascuno di questi tre fattori contribuisca allo sviluppo del cancro». Non è quindi esagerato riassumere il tutto dicendo che sulla prestigiosa rivista Science è stata legittimata la "iella" ed è stata persino quantificata.
Le conseguenze sono già visibili: domenica scorsa Edoardo Boncinelli prendeva atto della situazione, avallandola nel peggiore dei modi: «Se mi avessero chiesto a bruciapelo quanti tumori hanno origine puramente casuale, avrei risposto 70%, non lontano dal vero. Chiunque conosca la biologia, e in particolare quella dei tumori, non può rispondere diversamente: il cancro si origina da mutazioni che si accumulano negli anni in un certo numero di geni, e le mutazioni sono casuali, anche se questo responso non piace alla maggioranza degli esseri umani». E concludeva invitando comunque a cercare di prevenire il restante 30% e a diagnosticare sempre tutto il prima possibile. In poche righe, quindi, Boncinelli ha dimostrato che il "buon senso" di un singolo studioso, come lui, può giungere alle stesse conclusioni di un lavoro pubblicato su una delle più autorevoli riviste scientifiche internazionali, con la paradossale conseguenza che molta della attuale ricerca sul cancro sarebbe inutile. Per quale motivo, infatti, investire tante energie e tante risorse per individuare le cause della gran parte dei tumori, se di cause individuabili in quella gran parte non ce ne sono? Perché indagare sulle origini delle mutazioni che portano al cancro, se esse sono solo il risultato di un "destino malvagio"? Sarebbe come fare ricerca scientifica sulla tombola, anziché affidarsi al calcolo probabilistico.
Parlare di "sfortuna" non è molto distante dall’invocare gli dei, e non è propriamente quel che si chiama mentalità scientifica, la quale nasce piuttosto dalla curiosità, dal chiedersi il perché, e quindi dall’ipotesi che un perché vi sia. La ricerca scientifica esiste se si scommette sulla possibilità di comprendere la ragionevolezza dei fenomeni che si vanno a indagare: quale studioso comincerebbe a cercare un perché sapendo che non si può trovare? E, continuando l’analogia dei paradossi, se certe patologie hanno origine casuale, perché attenersi a trattamenti validati scientificamente, per la cura, e non affidarsi all’intuizione e alle sensazioni personali? Sarebbe stato molto più corretto se gli autori dell’articolo, magari anche su invito di editors e referees, avessero piuttosto sottolineato quanto ancora rimane da scoprire sulle cause di tanti tumori, ammettendo umilmente i limiti della nostra conoscenza, accanto agli indubitabili progressi. Proprio negli stessi giorni, per esempio, nell’edizione on line di un’altra prestigiosa rivista scientifica, Proceedings of the National Academy of Sciences, (PNAS), è stato pubblicato uno studio che va in direzione diversa rispetto a quello di Science: il ruolo della genetica in fenomeni complessi, inclusa l’obesità, varia nel tempo. In particolare, studiando la variante di un gene associato all’obesità, si è visto che tale associazione non è rilevata nelle persone nate prima del 1942, ma solo in quelle nate successivamente. I ricercatori hanno attribuito questo risultato alle differenti condizioni ambientali e sociali, «il che suggerisce che vada garantita più cautela e più umiltà nella ricerca genetica moderna. Se studi di associazione genetica su larga scala, con questo gene, fossero stati condotti in una generazione precedente, avrebbero avuto risultati diversi. Il nostro lavoro mostra che scoprire gli effetti dei geni può dipendere dall’ambiente complessivo e dal contesto storico dei ricercatori e dei soggetti della ricerca», ha osservato uno degli autori, Nicholas Christakis, docente all’università di Yale.
Varrebbe la pena fare memoria di una preziosa osservazione del grande matematico Francesco Severi, che a una domanda dell’ingegnere Gaetano Rebecchini – «Dove mai potrà arrivare la scienza dato il suo straordinario sviluppo?» – rispose: «Caro Gaetano, immagina di raccogliere tutto quel che sappiamo, che conosciamo, insomma tutto lo "scibile" umano, in una grande sfera immersa nello sterminato spazio ignoto, o per meglio dire nel mistero, nel profondo mistero che pervade il tutto. Ebbene aumentando le nostre conoscenze, viene di conseguenza ad aumentare il volume della sfera che deve contenerle. Ma – seguimi bene –, se cresce il volume della sfera, cresce anche la sua superficie a contatto con l’esterno, aumentando così i punti di contatto con il mistero che la circonda».
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