Troppi perdenti per una crisi sola
venerdì 10 gennaio 2020

Abituati come siamo a una politica fatta via twitter, urlata e basata sul solleticare gli umori dei propri sostenitori, commentata da tifosi più che da analisti, diventa arduo cercare di valutare oggettivamente quanto sta avvenendo nel Vicino Oriente dopo l’uccisione del generale Soleimani e la risposta simbolica da parte dei pasdaran con il lancio (con preavviso) di missili su due basi americane in Iraq. Eppure, alcuni elementi sono già abbastanza chiari.

Il primo è che l’Amministrazione Trump, checché ne dicano i suoi sostenitori e gli scatenati sovranisti europei che ne apprezzano ogni mossa, è palesemente priva di una strategia politica per la regione. Colpa grave per ogni Governo, imperdonabile per la maggiore superpotenza mondiale. La decisione di uccidere un personaggio importante e popolare quale Soleimani, oltre al vice-comandante delle Forze di mobilitazione popolare irachene, al-Muhandis – un capo milizia che era tuttavia inserito nella catena di comando del sistema di difesa iracheno – è stata presa senza una seria valutazione delle conseguenze. Per di più in un momento in cui proprio la strategia di Soleimani in Iraq mostrava i suoi limiti. Si è così trasformato un abile stratega iraniano in un martire che rimarrà nella storia di quel Paese, dopo averne esagerato le capacità e i successi. Perché la verità è che fino al giorno della sua morte cresceva l’insofferenza per le ingerenze iraniane anche fra gli sciiti iracheni. Ora invece gli Usa si trovano a dover gestire la richiesta del Parlamento iracheno di ritirare le loro truppe. Richiesta a cui Trump ha risposto in modo assurdo minacciando rappresaglie economiche e politiche, bruciando così altri ponti con la dirigenza irachena. Il problema è che alla Casa Bianca e nei Dipartimenti che contano mancano centinaia di consiglieri e dirigenti, eliminati e mai rimpiazzati dal troppo attivo 'clan' Trump e dagli estremisti che circondano il presidente. Di fatto, tecnici e specialisti americani vengono ritirati da molte zone del Medio Oriente – fatto che indebolisce il soft power Usa – come conseguenza di una decisione umorale e mal valutata.

Il secondo elemento riguarda l’Iran. Il regime è stato molto abile nel cavalcare l’onda emotiva – collegata al fortissimo sentimento nazionalista – ma anche prudente nel reagire. Era necessario che i pasdaran rispondessero direttamente, senza nascondersi dietro i propri alleati e proxies regionali; ma lo hanno fatto con modalità più 'televisive' che realmente militari. Gli iraniani possono essere soddisfatti di aver dimostrato di poter raggiungere le basi statunitensi con precisione senza voler provocare vittime, ma anche di essere in grado di colpire duramente se necessario. Allo stesso tempo, tuttavia, mostrano i limiti di una strategia aggressiva che sa di non poter scendere in un conflitto aperto con gli Usa, mentre passata l’emozione per Soleimani, le strutture di potere torneranno a fare i conti con la frustrazione e il forte scontento dei propri cittadini, a cui i vertici rispondono solo con una spietata repressione. Tuttavia, si illude chi irride oggi i timori sulle reazioni di Teheran; perché non si fermerà qui la risposta iraniana e assumerà forme variabili, ma sempre pericolose per gli americani.

Il terzo risultato evidente è che l’Iraq esce umiliato come Paese sovrano. Tanto dagli americani quanto dagli iraniani. E che sempre più l’idea che Baghdad potesse emanciparsi dalla tutela ora di questa ora di quella potenza appare un’illusione. Una perdita di prestigio per un’élite di potere – quella irachena – già screditata per l’inerzia, la corruzione e l’incapacità agli occhi dei propri cittadini. Se non bastassero gli elementi negativi, si può aggiungere l’ennesima dimostrazione di irrilevanza di Onu, Unione Europea e la difficoltà crescente della Nato, un’alleanza che ha protetto per decenni l’Europa dalla minaccia sovietica, ma che ora vive una crisi poco visibile all’opinione pubblica, ma estremamente grave per le potenziali conseguenze sul principio cardine di sicurezza collettiva dell’Occidente.

La politica oggi sarà pure fatta solo di slogan per infiammare i propri sostenitori e di foto a effetto. Ma la realtà geopolitica del mondo rimane là, appena fuori il nostro cancello. E solo dei folli possono pensare che prima o poi non ci venga presentato il conto per aver rincorso solo emozioni e battute da bar.

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