martedì 15 aprile 2014
​Ma per l'eterologa ancora da regolamentare tracciabilità e consenso.
di Assuntina Morresi
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​Le rilevanti vicende degli ultimi giorni – dalla sentenza della Corte Costituzionale sulla fecondazione eterologa e la vicenda dell’Ospedale Pertini di Roma – impongono di conoscere meglio come funziona l’attività di procreazione medicalmente assistita (Pma) in Italia. Questa si svolge all’interno di un quadro normativo estremamente articolato composto da una legge specifica, la legge 40/2004, con alcuni decreti ministeriali collegati, da decreti legislativi riguardanti cellule e tessuti a uso clinico, derivati da recepimenti di direttive europee, e infine da accordi Stato-regione e normative regionali dedicate.La Pma in Italia è gestita sostanzialmente dal Ministero della Salute, di concerto con le Regioni. Il Ministero della Salute ha l’obbligo di presentare una relazione annuale al Parlamento sull’applicazione della legge 40. La governance generale del sistema fa capo quindi alla politica: in altre parole, pur nell’autonomia dei professionisti del settore della procreazione assistita (medici e biologi), per l’attività in questo ambito particolare c’è una differenza con altri settori della medicina (ortopedia, oculistica, etc.) dove non ci sono leggi dedicate, ma il codice deontologico e le società scientifiche sono sufficienti a stabilire procedure e limiti di applicazione.Il Ministero si avvale di due "strumenti operativi": l’Istituto superiore di sanità e il Centro nazionale trapianti. Al primo spetta la cura del «Registro nazionale delle strutture autorizzate all’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, degli embrioni formati e dei nati a seguito dell’applicazione delle tecniche medesime», definito dall’articolo 11 della legge 40. Qui si devono iscrivere i centri Pma per poter essere autorizzati alla loro attività – condizione necessaria ma non sufficiente per l’autorizzazione – ma è anche punto di raccolta dei dati relativi all’attività stessa da parte di tutti i centri Pma in Italia.
Ogni centro Pma trasmette al Registro le informazioni richieste, secondo quanto stabilito da un decreto ministeriale: dalle cause di infertilità al numero dei cicli di trattamenti effettuati, fino alla verifica di quante gravidanze siano effettivamente arrivate alla nascita di un bambino. In base a questi dati, forniti dal Registro, il Ministero presenta la sua relazione annuale in Parlamento. Il secondo strumento operativo è il Centro nazionale trapianti (Cnt) in quanto autorità competente su cellule e tessuti a uso clinico. In base ad alcune direttive europee (2004/23, 2006/17 e 2006/86), di decreti legislativi con cui sono state recepite (191/2007, 16/2010, 85/2012) e all’accordo Stato-Regioni del 15marzo 2012, il Cnt vigila sulla qualità e sicurezza per «donazione, approvvigionamento, controllo, lavorazione, conservazione, stoccaggio e distribuzione di cellule e tessuti umani», e in questo caso le cellule umane trattate sono quelle riproduttive, cioè ovociti e spermatozoi. In buona sostanza, per ogni centro Pma la legge prevede un manuale di qualità, cioè un vero e proprio "manuale di volo": ogni Centro deve avere un responsabile delle procedure che avvengono in laboratorio, e deve aver messo per iscritto in una documentazione apposita, basata sulle normative nazionali, tutte le procedure che vengono seguite per ogni attività che avviene in laboratorio. Per ogni centro Pma l’autorizzazione e l’accreditamento sono a carico delle Regioni e delle Province autonome in cui si trova il centro, mentre compito del Cnt sono le ispezioni ai Centri Pma (effettuate su richiesta delle regioni, e condotte dal Cnt in collaborazione con le regioni), che secondo la normativa europea debbono avvenire almeno ogni due anni per ogni centro Pma, le misure di controllo, le notifiche di reazioni ed eventi avversi gravi (queste due in collaborazione con le regioni, ciascuno per la parte di competenza), l’organizzazione della tracciabilità del materiale biologico e del sistema di codifica nazionale che la consente. In altre parole, il Cnt vigila sulle attività cosiddette di biobanking, cioè non su tutto il percorso di fecondazione assistita ma sulla parte della fecondazione che avviene in laboratorio, quella cioè che inizia con la raccolta di gameti e finisce con il trasferimento degli embrioni in utero. Il Cnt controlla quindi che siano rispettate le norme che prevedono come i gameti vengono raccolti dalle coppie che hanno avuto accesso alla fecondazione assistita (singoli ovociti per le donne, a seguito di intervento chirurgico, e aliquote di liquido seminale per gli uomini) e come vengono trattati in tutte le fasi del percorso, fino alla fecondazione e al trasferimento degli eventuali embrioni, o in alternativa fino al loro congelamento e alla conservazione. Naturalmente i locali e le attrezzature dei Centri (dai piani di lavoro alle cappe di laboratorio) debbono rispondere ai requisiti stabiliti per legge, ci devono essere codifiche apposite, cioè "coding" del materiale biologico che ne garantiscano sempre la totale tracciabilità, in qualunque fase del processo, ma debbono anche essere previste procedure per la sicurezza: per ogni atto dell’operatore in laboratorio deve essere previsto un controllo immediato, per evitare errori (controlli tipo quelli che a volte si vedono nei film per le sale operatorie, quando chi passa gli strumenti al vicino ne ripete a voce alta il nome).  È regolamentata anche la catena di informazioni per la notifica delle reazioni avverse – cioè le complicazioni mediche – ed eventi avversi – ad esempio scambi di gameti o di embrioni: la persona responsabile del Centro Pma garantisce che l’autorità regionale e il Cnt ne siano tempestivamente informati, perché si possa poi procedere all’individuazione dell’evento e agire di conseguenza.Quando sono state recepite le normative europee su cellule e tessuti lo si è fatto solamente per la fecondazione omologa. Adesso sarà necessario procedere al recepimento di quelle parti relative all’eterologa, per esempio i test di tipo infettivo, come l’Hiv e l’epatite C: per le coppie i test andavano ripetuti ogni sei mesi, mentre in caso di eterologa i test richiesti andranno ripetuti sul singolo donatore prima di ogni donazione.
Non è possibile separare completamente aspetti tecnici ed etici relativi alla Pma, perché molte questioni sono inevitabilmente intrecciate: un esempio (non l’unico) è la questione della tracciabilità e del consenso. È obbligatoria la tracciabilità clinica del materiale biologico, e quindi dei gameti, per ovvi motivi di salute pubblica. Le informazioni relative al Dna non riguardano però solamente la persona che ha dato il consenso ma coinvolgono anche la rete parentale, che può essere correlata dal punto di vista genetico alla persona che ha concesso alle biobanche il proprio materiale biologico. Si pone quindi un problema di conservazione dei campioni biologici, dei dati, e di modalità di accesso agli uni e agli altri. Ma soprattutto il consenso informato per il donatore cambia sostanzialmente a seconda della possibilità o meno che i nati dall’eterologa possano avere accesso anche all’identità anagrafica del donatore e dei suoi parenti più stretti. Senza questa norma, è impossibile regolare tutto il resto della fecondazione eterologa.
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