sabato 25 settembre 2010
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Caro direttore,le prime notizie del telegiornale della sera riguardano, ormai da tempo, i litigi e i pettegolezzi di un mondo politico sempre più lontano dai problemi veri. Io stasera sto invece pensando a Teresa Lewis. Su Avvenire ho visto il suo sguardo sconfitto, ho conosciuto il suo percorso triste, dove non c’è stata possibilità di ritorno. Uno sguardo che dice fatica e desolazione. Lo sguardo di chi non ha conosciuto la speranza di un cammino nuovo. Facendo volontariato, attraversando corridoi e cancelli di un carcere, conosco occhi così velati di tristezza, ma conosco anche lo sguardo di chi ricomincia, di chi oltre la fatica e la sua stessa storia, sa rimettersi in cammino. Stasera il mio pensiero è per Teresa. Tanti so che la pensano, visto che la triste storia del boia si ripete e si ripete... Mi torna in mente che la piccola Teresa di Lisieux aveva pregato intensamente per un condannato a morte. Ora, Teresa Lewis vive nei pensieri di queste meravigliose anime che illuminano l’oscuro piattume nel quale il mondo si lascia andare. Possiamo stare ancora vicini a Teresa, in questa notte, e chiedere al buon Dio, che notti così non si ripetano, perché l’ultima parola sulla vita rimane la Sua.

Annamaria, Busto Arsizio

Caro direttore,il popolo Usa «in nome di Dio» combatte i fondamentalisti islamici così come «in nome della libertà e della democrazia» ha sganciato le uniche due atomiche della storia. E, senza problemi, giustizia con una iniezione letaleTeresa Lewis, la "Sakineh d’America", nonostante la sua palese disabilità mentale... Questa è l’America, prima potenza mondiale, paladina della libertà e della democrazia? Questo è il popolo che per voce e iniziativa di Barack Obama si erge a costruttore della pace tra ebrei e palestinesi? Il giustizialismo Usa non è assolutamente diverso da quello islamico che combatte, solo il metodo è diverso. In terra d’islam le adultere (vero e presunte) vengono lapidate, nella libera e democratica America i disabili mentali vengono uccisi con una iniezione letale. Dai tempi del Far West a oggi nulla è cambiato...

Alessandro Consonni

Caro direttore,mentre da una parte si lotta per abolire la pena di morte, da un’altra la si reintroduce. Mentre ci si mobilita contro la lapidazione, condannata (a ragione) come una modalità abbietta e primitiva, da un’altra si uccide lucidamente con dei farmaci civili e moderni, che dovrebbero servire per salvare vite. Un uso dei medicinali sostanzialmente analogo a quello del caso di Teresa Lewis, è previsto nel "suicidio assistito", permesso in alcuni civilissimi Paesi europei (con acquisto di specifici "kit" in farmacia e con possibilità di rimborso da parte del sistema sanitario nazionale. Ancora, analogo uso dei medicinali avviene nei casi di eutanasia, in quei casi esso è chiamato "protocollo"; il fine è lo stesso: l’uccisione di un persona. Ricordiamo Eluana Englaro (una donna anche in quel caso) "condotta" alla morte con l’avallo di una pronuncia giudiziaria; ricordiamo Terry Schiavo (una donna anche in quel caso) "condotta" alla morte in forza di una sentenza. Qualche giornale parlò, per quei casi, addirittura di "dolce morte". Nel sostenere l’eutanasia si è sempre considerato un punto di legalità e di dignità, la libera consapevolezza di chi la richiede. La donna giustiziata in Virginia è, invece, una disabile mentale. Quanto appare grottesca e superficiale la distinzione tra scelta libera o costretta (da leggi o disabilità mentale) di fronte alla cruda realtà della morte. Come animali condotti al macello appaiono queste persone. E i cui corpi vengono ritirati dopo aver applicato la "sentenza" per essere chiusi in una cassa o bruciati in una cremazione.

Sergio Vicàri

Caro direttore,speravo che la vicenda di Sakineh Mohammadi Ashtani avrebbe spinto il governatore della Virginia a concedere la grazia alla ritardata mentale Teresa Lewis, ma mi illudevo. Ora l’Iran potrà tranquillamente uccidere Sakineh, colpevole dello stesso delitto di Teresa. Oppure utilizzerà l’occasione per mostrare il suo spirito umanitario e concedere la grazia, intanto che impicca qualche dozzina di sconosciuti... Comunque vadano le cose, noi abolizionisti "non profit" abbiamo perso una battaglia. Ma la "guerra" non è finita...

Claudio Giusti, Forlì

Tutto si è consumato, ancora una volta. Ancora una volta una vita è stata spenta in nome della legge. Quella legge che gli uomini e le donne – con millenaria e contraddittoria fatica – hanno immaginato e costruito non per dare la morte, ma per difendere la vita da ogni assalto ingiusto, da ogni insidia letale. È questo che c’è al principio e al fondo dell’idea stessa di un sistema di norme, ed è per questo – continuiamo a impararlo – che vale la pena di "sacrificare", riconoscendo il valore buono e naturale delle grandi regole, il divino dono dell’umana libertà. La nostra cultura, figlia del Libro e della Croce, è pervasa da questa consapevolezza che si è fatta sentimento laico. E anche chi non riesce a sperare e credere, come noi cristiani, che la morte sia solo un passaggio e non la fine di tutto e che persino la nostra carne non morirà per sempre, sa ormai bene – e testimonia – che la morte non può essere mezzo e fine dell’imprecisa giustizia di questo mondo. Che accada a colpi di pietra o di lama, con la corda o con il gas, davanti a un plotone di esecuzione o sulla sedia elettrica o su un lettino come d’ospedale.Eppure Teresa Lewis è stata uccisa, con un’iniezione legalmente assassina. In Virginia, Stati Uniti d’America, in un giorno di settembre e a un’ora che sono parte di una notte che non passa.Che notti così non si ripetano, invoca allora Annamaria. Mentre Alessandro grida contro la «democrazia perfetta» che, ancora una volta, produce ingiustizia sfregiando se stessa. E Sergio, con accorata tenerezza per ogni persona caduta e debole e inutile, evoca animali condotti al macello. Ma Claudio, una vita di battaglie vinte e perse contro il boia, ricorda a tutti noi che si può e si deve soffrire e indignarsi epperò non ci si può proprio arrendere.Dico loro grazie. E alle loro voci unisco la mia e quella di Avvenire. È giusto che a ogni esecuzione capitale ci monti dentro un dolore sordo e ci scoppi in gola un grido di ribellione. Ed è giusto che siano i pensieri forti di uomini e donne così, e la preghiera di tutti coloro che ne sono generosi e capaci, ad accompagnare la nostra riflessione e l’addio a una donna infantilmente disabile e crudamente colpevole, forse feroce o forse plagiata, certo sola e del tutto infelice. La grazia degli uomini era ben possibile per lei. Ma ancora una volta non è stata neanche una pallida ombra della grazia di Dio.
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