lunedì 22 ottobre 2012
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​Gentile direttore,
mi sono convinto che dobbiamo ripristinare subito le nostre festività soppresse: San Giuseppe (19 marzo), Ascensione di Nostro Signore, Corpus Domini, Santi Pietro e Paolo (29 giugno), il lunedì di Pentecoste... Sono festività significative, di alta tradizione popolare. L’abolizione non ha giovato all’economia. E tanti Paesi in Europa (Austria, Germania, Svizzera, Francia, Croazia, Polonia...) hanno conservato queste festività che un tempo erano tali anche in Italia. È stato un errore cancellarle. Nel periodo che va dall’Epifania (6 gennaio) fino alla festa dell’Assunzione (15 agosto) non è rimasta alcuna festa civile tra quelle religiose infrasettimanali di precetto. Sono 7 mesi e questo è un caso unico in Europa. So che non decide la Chiesa, ma lo Stato. Ma forse si sta comprendendo che le feste religiose hanno valore sia cristiano sia familiare, che soprattutto in questo periodo è importantissimo.
Graziano Bitto, Cordignano (Tv)
Purtroppo, caro signor Bitto, dobbiamo prendere atto che coloro che, in nome e per conto dello Stato, hanno potere di decisione invece di tornare a capire il «valore cristiano e familiare» (ma bisognerebbe aggiungere anche il valore civile ed economico) delle feste religiose infrasettimanali, stanno picconando pure quello della festa settimanale per eccellenza, la domenica. Prendere atto di questa brutta deriva non significa rassegnarci a essa. E infatti noi non ci rassegniamo. Abbiamo appena ricordato sulle pagine di Avvenire (e, grazie a Dio anche altri si stanno impegnando a farlo) che non c’è neppure la scusa di dire che «in Europa si fa così», perché in quasi tutta Europa – a cominciare dalla Germania e dalla Francia – il rispetto della domenica, giorno della famiglia e della comunità, giorno di Dio secondo la comune e fondante tradizione cristiana, è la regola e il lavoro domenicale l’eccezione. Non ci stanchiamo di ripeterlo a chi governa e fa le leggi nella nostra Italia, anche se fa finta di non sentire. Ma se anche l’Europa andasse in un’altra e sbagliatissima direzione (e non ci va), non si capisce perché dovremmo sbagliare pure noi. Voglio dire, caro amico, che non riesco ad accettare l’idea che sia proprio l’Italia a fare da battistrada in questa corsa insensata e rovinosa a rendere le nostre settimane un percorso di vita e di lavoro tutto uguale, affannoso e senza respiro condiviso, questa spinta autolesionista a cancellare il tempo della festa dalla vita delle persone, delle famiglie e delle comunità. E, come lei, trovo giusto non rinunciare a chiedere di ritrovare civile rispetto anche per altri importanti momenti che scandiscono l’anno cristiano. Perciò cominciamo a dare noi l’esempio, vivendo comunque queste festività in modo vero e, per così dire, "visibile" e coinvolgente.
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