martedì 1 febbraio 2011
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Caro direttore, bisogna porre fine alla «maxirapina» degli evasori fiscali, perché è ormai chiaro che il primo e più consistente ostacolo alla definizione di un 'federalismo' significativo e ai sostegni alle famiglie in gravi difficoltà economiche è l’evasione fiscale. A leggere il rapporto presentato alla competente Commissione della Camera da parte del comandante delle Fiamme Gialle, Di Paolo, c’è da chiederci: come è possibile che nel 2010 ci siano stati 9 mila evasori totali, per un ammontare di 50 miliardi di euro non dichiarati? E questi 9 mila evasori quanto e quando risarciranno allo Stato il dovuto? Come può uno Stato di diritto non condurre in prima persona la lotta contro ogni tipo di evasione (contributiva e fiscale), per poter affermare la legalità e la giustizia sociale? Nel contempo, va evidenziata la drastica riduzione della spesa sociale per mancanza di risorse. Il Fondo nazionale per le politiche sociali (Fnps) è stato drasticamente dimezzato, cancellando, addirittura, il Fondo per la non autosufficienza, che era stato istituito e alimentato negli anni precedenti. Per il futuro le previsioni sono ancora peggiorative.Lo stesso federalismo, di cui si discute tanto come idea, potrà portare benefici alle comunità locali soltanto se le risorse messe in campo risulteranno adeguate ai bisogni primari e urgenti.Diversamente ci sarebbe un 'tira e molla' che porterebbe al «si salvi chi può». Ed è ciò che dobbiamo, responsabilmente, evitare.

Giuseppe Delfrate, Chiari (Bs)

Nella sua lettera, gentile signor Delfrate, lei richiama opportunamente temi, problemi e chiavi di lettura a proposito dell’evasione fiscale, che anche questo giornale ha proposto con continuità e crescente urgenza. Facile per me confermarle che siamo d’accordo sulle cose fondamentali. Ma credo anche che sia bene sottolineare due punti. Il primo è che lo Stato, attraverso la Guardia di Finanza (e non solo), è già impegnato «in prima persona» nella battaglia contro l’ancora vasta sottrazione di risorse contributive e fiscali al pubblico tesoro. Il secondo punto è che questa battaglia non potrà essere vinta davvero – con la riduzione ai minimi termini di quella che, qui su Avvenire, il 27 gennaio abbiamo appunto definito la «maxirapina» dell’evasione (oggi a pagina 20 forniamo altri particolari) – senza un cambiamento di mentalità da parte di tanti cittadini-contribuenti. È uno dei nodi che è indispensabile sciogliere e che sono al centro della «sfida educativa» che ci sta davanti. Scuola, Chiesa e famiglia possono e devono essere alleati nel far crescere 'sete' di giustizia (anche fiscale) e consapevolezza di solidarietà.Sanzionare e reprimere un comportamento scorretto, infatti, non sarà mai risolutivo se non si lavora con corale convinzione e con continuità per costruire e affermare la civile cultura della correttezza, se non si testimonia e trasmette il senso della legalità e del peccato. Sì, del peccato. E il cardinal Bagnasco aprendo i lavori dell’ultimo Consiglio permanente della Cei lo ha spiegato bene ricordando che 'autoridursi' o non pagare proprio le tasse significa violare «in una prospettiva sociale» il settimo comandamento, quello che intima di «non rubare». La richiesta e l’impegno per ottenere un sistema fiscale sempre più sostenibile ed equo e la sacrosanta pretesa di un’amministrazione saggia e trasparente delle risorse pubbliche devono insomma coniugarsi, caro lettore, col saper «dare a Cesare quel che è di Cesare». Tanto più che in una vera democrazia Cesare – cioè lo Stato, cioè la comunità delle comunità e la famiglia delle famiglie – siamo noi stessi.
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