Tassa minima sulle società: la Ue scelga la via di Biden
sabato 8 maggio 2021

Gentile direttore,

gli Stati Uniti d’America ci sorprenderanno sempre. Dopo quattro anni di attacchi sistematici al multilateralismo, l’elezione del moderato Joe Biden inizialmente non ci ha aveva dato molte speranze di cambiamento. Eppure, è all’origine di un’iniziativa che potrebbe essere una rivoluzione nel finanziamento delle economie globali messe in ginocchio dalla pandemia di Covid-19. In apparenza, ciò che Washington ha appena annunciato, una tassa del 21% sui profitti aziendali all’estero, è una decisione unilaterale. In sostanza, significa che le filiali delle multinazionali americane basate in Irlanda, per esempio (dove l’aliquota è del 12,5%), pagheranno immediatamente un’imposta supplementare del 8.5% alle autorità fiscali del loro Paese.

In realtà, dunque, questa iniziativa, che mira a finanziare in parte un piano di investimenti da 1.900 miliardi di dollari, è una grande opportunità. Se un numero significativo di Paesi seguisse l’esempio degli Usa, le multinazionali non avrebbero più un incentivo a mascherare i loro conti, concentrando artificialmente i profitti in giurisdizioni a bassa tassazione. Queste ultime sarebbero allora costrette ad applicare a loro volta la tassa minima invece di fare free riding, cioè ad attirare le imprese con imposte quasi a zero falsando la competizione tra Stati. I paradisi fiscali non avrebbero più ragione di esistere.

L’ambizione degli Usa ravviva così la possibilità di porre fine alla devastante corsa al ribasso in termini di imposta sul reddito delle società a cui abbiamo assistito per quarant’anni. Abbiamo così l’opportunità di superare la riluttanza di quelle nazioni – a cominciare dagli Stati Uniti – che erroneamente hanno ritenuto che obbedire alle richieste delle multinazionali sia il modo migliore per servire il loro interesse nazionale.

All’interno dell’Europa, potremmo così aggirare il blocco dell’Irlanda o dei Paesi Bassi. Naturalmente, la reazione è già in corso. Alcuni economisti, anche della Banca Mondiale, sostengono che una tassa del 21% sarebbe eccessiva e per di più dannosa per i Paesi in via di sviluppo, privandoli di un prezioso strumento per attirare gli investimenti. Non è vero. Gli studi mostrano che quando un’impresa valuta dove localizzare un’unità di produzione, i benefici fiscali appaiono in basso nella lista dei criteri di scelta, dietro la qualità delle infrastrutture, l’istruzione e la buona salute dei dipendenti, la stabilità giuridica.

Inoltre, i Paesi in via di sviluppo sono i primi a perdere in questa crescente competizione fiscale. I loro bilanci sono proporzionalmente più dipendenti dalle tasse sulle imprese che nelle nazioni ricche. I portavoce delle grandi imprese si sono affrettati a riprendere questa retorica, dicendosi favorevoli a un’armonizzazione fiscale globale, ma con un tasso molto più basso, il 12,5% per esempio. Un appello per mantenere lo status quo, e a vincere sarebbero solo le multinazionali.

Noi della Commissione indipendente per la riforma fiscale internazionale delle imprese (Icrict) – alla quale partecipo assieme agli economisti Joseph Stiglitz, Thomas Piketty e Gabriel Zucman – crediamo che l’aliquota fiscale minima globale effettiva ideale dovrebbe essere del 25%. Tuttavia, il 21% sarebbe già un passo nella giusta direzione, e vorremmo che fosse fissato. Ecco perché è fondamentale che le altre potenze seguano gli Usa nell’impegno a tassare le loro multinazionali con un’aliquota di almeno il 21%. Questo è già il caso della Germania, ed è ora che la Francia sostenga più apertamente questa iniziativa, e che entrambi i Paesi usino la loro influenza per convincere i loro vicini, specialmente l’Italia, a fare lo stesso.

È l’unico modo per porre fine all’ipocrisia che permette l’esistenza di diversi paradisi fiscali all’interno della Ue. Ma anche al di là della Manica, Londra deve capire che non è più possibile fare affidamento sulla strategia del dumping fiscale per prosperare, e che l’unico modo per finanziare una crescita sostenibile è introdurre una tassa minima globale.

È anche il momento di imporre più trasparenza in Europa, con la pubblicazione dei profitti delle multinazionali, suddivisi per Paese. Se la Francia, per esempio, si impegnasse in questo senso, permetterebbe a tutti in Italia, cittadini, po-litici, giornalisti o ricercatori, di sapere quanto le imprese francesi dichiarano nel Paese, quanti dipendenti impiegano e quante tasse pagano. Questa riforma contribuirà a ristabilire la fiducia nel sistema fiscale e costringerà le aziende e i governi a essere responsabili. La Ue diventerebbe un modello globale. La pandemia Covid-19, la più grave crisi sanitaria globale in un secolo, ci costringe a ripensare fondamentalmente la nozione di solidarietà internazionale. Oggi abbiamo un’opportunità unica, non perdiamola.

Giurista, Commissione indipendente per la riforma fiscale internazionale delle imprese (ICRICT), già parlamentare europea Verdi e vicepresidente della Commissione d’inchiesta sul riciclaggio di denaro, l’evasione fiscale e la frode

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