martedì 21 ottobre 2014
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Matteo Renzi ha deciso di parlare davvero di futuro. E così, domenica scorsa, ha tirato fuori dall’angolo in cui stavano da troppo tempo idee e soldi per i nostri figli, per gli italiani di domani. Per ora, per la verità, ha speso più idee che soldi (80 euro al mese per tre anni a ogni nuovo nato, circa 500 milioni di euro in tutto per il 2015; una legge che finalmente riconosca "italiani" i bambini e i giovani che regolarmente vivono qui e qui studiano). Ma l’importante è cominciare, e fare sul serio. L’Italia che per decenni non ha pensato affatto ai nuovi italiani, che li ha considerati poco e male, che li ha guardati e trattati come se fossero un lusso sventato o un problema o addirittura un impaccio è finita su un binario morto. Per uscirne c’è un solo modo: cambiare direzione o, come ama dire il premier, «cambiare verso». E questo è il momento.Si deve partire da loro. Dalle risorse umane, dicono odiosamente quelli del nuovo lessico dell’Azienda Mondo. Dalle persone, diciamo noi che amiamo stare coi piedi sulla Terra e sappiamo che il Cielo non è vuoto. Si deve cioè partire dai nostri figli. Dai figli che mettiamo al mondo noi altri, che in questo Paese siamo di casa per antica eredità «di sangue», cioè per lunga convivenza, storia condivisa e mai facile eppure solare costruzione di un’identità comune. E dai figli che abbiamo avuto dal mondo che ci è venuto in casa, figli «per cultura», dono di padri e madri che lavorano con noi e frutto della nostra scuola vituperata e preziosa. Figli diversi, ma che sono già fratelli qualunque cosa dicano le carte perché lo dicono loro, e basta ascoltarli. Fratelli d’Italia, come nell’Inno. E se qualcuno pensa che sia retorica provi a resistere alla strana allegria che si accende – non importa se a Roma o a Milano a Bari o a Verona – quando senti lo stesso accento, le stesse parole, gli stessi progetti sulla bocca di tua figlia o di tuo figlio e di ragazzi e ragazze dall’aria esotica.Certo, la realtà è faticosa e balbettante, i fatti sono tutti da vedere, ma il tono del presidente del Consiglio è sicuro e le parole si sono fatte chiare. C’è da esserne contenti, come per un "buongiorno" ben detto al principio di un giorno lungo e con un gran lavoro da fare. C’è da esserne sollevati, come per un "benvenuto" sorridente, scandito al posto di silenzi e monosillabi amari e sospettosi, di preoccupazioni che chiudono le strade, di indifferenze ed egoismi che lasciano marcire i frutti sugli alberi.Qualcuno già ripete che si può ricominciare solo dalle porte sbattute in faccia ai bebè e agli "stranieri", perché – per un verso o per l’altro – in Italia siamo troppi e troppo arrabbiati. I luoghi comuni cattivi vanno sconfitti di verità, cioè di regole sagge e salde e, semplicemente, di buone politiche.
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