venerdì 25 ottobre 2013
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Caro direttore,
ho 60 anni una vita a sinistra, ora elettore grillino, e… mi scopro ad apprezzare "Avvenire". Non esulti, non mi sono convertito, ma apprezzo una voce diversa dal mio solito orizzonte. Proprio per questo le chiedo: anche lei non sfugge a questo vero e proprio feticcio moderno della "crescita"? Ma come si fa ancora a diffondere illusioni e speranze che tutto si risolverà in questo modo? Come si fa sostenerlo in un mondo sempre più consumato e usurato? Spero proprio che "Avvenire" faccia sparire quell’insopportabile vocabolo e che anche lei, direttore, scelga, finalmente, un’ottica nuova. Il Papa, d’altra parte, invita a liberarsi dalla schiavitù del denaro... Fate anche voi, media, la vostra parte!
Angelo Tasson
Innanzitutto grazie per l’apprezzamento, caro signor Tasson. E per leggere convintamente "Avvenire" da «non convertito» (attento, però: la cosa non riguarda noi, ma lei e Lui...). E vengo al punto. Posso – e possiamo – prendere un abbaglio, come tutti, ma stia pur certo che vecchi e nuovi feticci qui non ci incantano. E consideri che le «idolatrie» rispetto alle quali papa Francesco continua a metterci in guardia, unendo la sua voce dal timbro inconfondibile a quella dei suoi grandi predecessori, ci sono ben chiare. In questa luce "crescere" non può mai significare gonfiarsi e gonfiare i "forzieri" e depredare a morte un’umanità e un pianeta resi esausti da feroci e autolesionistiche speculazioni. E se continuerà a seguirci vedrà che su questo giornale ci impegniamo a raccontare tutto questo nelle nostre cronache e a spiegarlo con i nostri commenti. Martedì scorso, 22 ottobre, abbiamo pubblicato l’ultimo disteso rapporto sulla grande «guerra» (come chiamiamo da tempo la crisi nella quale siamo immersi), spero che avrà potuto apprezzarne tono e contenuti. Quanto all’«insopportabile vocabolo», ritengo che sia sbagliato fare di una grande questione di sostanza un mero distinguo nominalistico. Ma, detto questo, se proprio non sopportiamo più quel concetto, ragioniamo pure non di crescita ma di sviluppo, non di mero benessere ma di esser-bene, non di puro aumento dell’indice della ricchezza ma di aumento della felicità delle persone... Se lo facciamo schiettamente (e sono sicuro che questo lei si chiede e ci chiede di fare), forse ci accorgeremo senza troppa fatica che "crescere" significa semplicemente e per davvero essere vivi, avere "senso" e darlo al cammino personale e comunitario. E tutti dobbiamo fare la nostra parte. 
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