venerdì 25 novembre 2011
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Svolgere il compito della sentinella, che vigi­la al confine sia sui bisogni dei territori che sulle ingiustizie dell’era globale. Ed essere se­gno di speranza. Le parole pronunciate da Papa Benedetto nel­l’udienza tenuta ieri alla Caritas italiana sono in straordinaria continuità con quello che qua­rant’anni fa pensava Paolo VI. Il quale chiese al­la neonata Caritas italiana di coniugare carità e­vangelica e spirito del Concilio educando con i fatti la comunità a prendersi sulle spalle il far­dello delle povertà, senza deleghe di comodo. Quello che la Caritas nazionale ha dato al Pae­se in termini di coesione sociale lo ha ricorda­to nell’omelia che ha preceduto l’udienza il car­dinale Angelo Bagnasco: sia di fronte a «feno­meni naturali imperiosi» – come terremoti o al­luvioni – sia a «fenomeni sociali improvvisi» – l’immigrazione, l’impoverimento – «la Caritas è sempre pronta a rigenerare fiducia e ancor pri­ma ad offrire una prossimità mai scontata, in grado di restituire dignità e fiducia». Scorrendo il film di questi 40 anni, l’organismo pastorale della Chiesa ha centrato il mandato di crescere nelle diocesi e nelle parrocchie. Lo ha fatto e­ducando all’impegno e alla gratuità diverse ge­nerazioni di giovani. Ad esempio con i gemel­laggi tra diocesi che hanno gettato ponti indi­struttibili tra comunità cristiane e civili lontane, come nel Friuli e nell’Irpinia devastati. Un metodo la cui validità e stata ribadita nelle ore drammatiche del sisma abruzzese. O attra­verso le decine di migliaia di obiettori di co­scienza che hanno svolto servizio civile con i deboli scoprendo mondi nascosti e maturando in quei mesi vocazioni religiose, professionali, politiche. Anche grazie a loro, come al numero incalcolabile di volontari e sacerdoti, la Caritas in Italia, per usare un’altra frase della presiden­te della Cei, è diventata «un riferimento signifi­cativo anche nel quotidiano». Oggi questo organismo ha responsabilità in au­mento, come confermato da diversi studiosi al convegno delle Caritas diocesane di Fiuggi. Al­la sua porta bussano infatti non solo i poveri «storici», ma per la prima volta persone che non hanno mai conosciuto privazioni e che, perdu­to il lavoro, rischiano di vedere collassata dalla precarietà la famiglia, le relazioni e la salute mentale. Accanto a loro vi sono i migranti che arrivano da tutto il mondo per trovare acco­glienza e un futuro in una società che spesso tende a chiudersi. La povertà, ha richiamato ieri il Papa, è sempre più complessa e si muove a cerchi concentrici: per capire l’indigenza del nostro vicino di casa dobbiamo sapere cosa succede magari in Afri­ca e comprendere i meccanismi a volte perver­si del sistema economico e finanziario. Chi og­gi si impegna perché non vi siano donne, bam­bini e uomini esclusi in Italia e nel mondo ha quindi un compito supplementare: contrasta­re non solo il crescente disagio, l’indebolimen­to delle famiglie, l’incertezza della condizione giovanile, ma il rischio – per dirla con Benedet­to XVI – «del calo di speranza». Questa crisi du­rissima è infatti anche antropologica e sta met­tendo in discussione il sistema occidentale co­struito sull’individualismo relativista e sui di­svalori del consumismo sfrenato. Allora la Caritas negli anni a venire – ha sottoli­neato il Pontefice – dovrà unire il «coraggio del­la fraternità» alla forza di agire nel «solco sicu­ro del Vangelo e della dottrina sociale». Dovrà contribuire alla sfida educativa che la Chiesa i­taliana ha indicato per questo decennio e per vincere la quale occorrono testimoni credibili di vite buone, umili e concrete, capaci di costrui­re una nuova etica. La Caritas italiana ha con­fermato ieri al Papa che resta sul confine, stru­mento della Chiesa per vigilare e aiutare a co­struire speranza.
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