martedì 16 febbraio 2010
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Caro direttore,Avvenire, in data 25 novembre 2009, ha pubblicato un articolo, a firma Giampaolo Romanato, nel quale l’autore lamentava che il bicentenario della nascita di Garibaldi, celebrato nel 2007, fosse passato senza lasciare traccia. Tesseva l’elogio di Garibaldi in quanto il più celebrato personaggio della nostra storia... Citava un volume celebrativo che sfaterebbe i pregiudizi sul Risorgimento: insomma, dai documenti d’archivio risulterebbe un eroe. Apprezzo il giornale da lei diretto per l’obiettività sempre dimostrata e quindi questo articolo mi ha molto sorpreso, perché, avendo letto il volume "L’altro Risorgimento" di Angela Pellicciari (edizioni San Paolo), ho visto questo «eroe» apparire in tutt’altro modo. Si tratta di un libro ben scritto: riporta fatti, date, documenti e testimonianze. Gradirei perciò che mi diceste chi si sbaglia, perché la verità non può stare simultaneamente in due versioni così distanti tra loro. Per lo stesso motivo mi ha sorpreso non poco anche un altro vostro articolo, di Edoardo Castagna, pubblicato il 15 dicembre 2009, su Cavour «grande statista», che forse rischierà di essere dimenticato, in occasione del bicentenario della sua nascita e sulla povertà di iniziative in calendario per il 2011, centocinquantenario dell’unità d’Italia. Nel libro sopra citato si configurano assai diversamente, sia Cavour, sia i i fatti riguardanti l’Unità. Per ottenere questa, il popolo pagò un prezzo altissimo in termini di carcerazioni, guerre (Crimea), confische di beni, scioglimento di ordini religiosi, stragi di innocenti, emigrazione... Il tutto in nome della libertà.

Ada Corneo Domagnano (Repubblica di San Marino)

Gentile lettrice, lei ha notato che Avvenire continua a dare spazio a diverse letture storiografiche sul Risorgimento, non ultime appunto quelle di Angela Pellicciari, fortemente critiche sulle figure di Cavour e, soprattutto, di Garibaldi. Per contro, si potrebbe ricordare che uno storico cattolico di grande caratura come Giorgio Rumi si entusiasmava davanti all’"architettura di un Paese moderno, libero e cristiano, elaborata dal grande conte di Cavour". Le più autorevoli interpretazioni e valutazioni non possono esaurire - nessuna di esse - la vastità e la complessità di un fenomeno quale la conquista dell’Unità nazionale anche sul piano territoriale e politico-amministrativo. Ma a noi, da cattolici, di certo non sfugge che c’è un’Unità nazionale sul piano culturale e religioso e c’è una "identità italiana" che non si sono di certo delineate e compiute tra il 1848 e il 1870… Così come non sfugge l’anticlericalismo (o dovremmo dire l’anticattolicesimo tout court) di alcune forze che contribuirono potentemente all’ideologia risorgimentale e alla politica post-risorgimentale. Così come conta il fatto che un grande Papa come Paolo VI giudicò "provvidenziale" la fine dell’antico Stato Pontificio. La revisione critica e distaccata del Risorgimento è, perciò, un dovere storiografico, e non abbiamo timore di ospitare a questo proposito voci e toni diversi, utili ad approfondire la comprensione dei fatti e a stimolare il dibattito (quello stesso al quale anche lei, cara signora, si è idealmente iscritta con questa sua lettera). L’Unità nazionale è un evento - e, per certi versi, un processo ancora in corso - che va al di là dei singoli episodi (anche assai dolorosi) e delle singole figure. Per questo, accanto alla rilettura storica, un Paese consapevole di sé non può trascurare la commemorazione e la rievocazione di un passaggio di svolta nel suo sviluppo statuale e di una fase cruciale nella sua millenaria vicenda. Il Risorgimento è - comunque lo si valuti in alcuni aspetti e in taluni protagonisti - un momento chiave della nostra storia comune ed è tra quelli che destano maggiore ammirazione da parte degli stranieri. Tenerlo a mente, tra un po’ d’orgoglio e una buona dose di indagatrice ragione, non guasta.
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