sabato 3 gennaio 2015
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L’annuncio delle dimissioni dall’ospedale Spallanzani di Fabrizio Pulvirenti, il medico di Emergency contagiato dal famigerato virus ebola, è certamente una buona notizia che rincuora. Dopo settimane di terapia intensiva, il volontario può finalmente riabbracciare i propri cari. Il suo sangue sarà inviato in Africa per creare plasma in grado di guarire malati. Pulvirenti, come ha sottolineato il presidente Napolitano nel suo messaggio di fine anno, rappresenta un’eccellenza del nostro Paese nell’ambito della solidarietà internazionale. E lo ha ribadito ieri annunciando che tornerà presto in Sierra Leone a portare il suo aiuto. Sarebbe quindi auspicabile che tutti provassimo – istituzioni e singoli cittadini – a riflettere sull’esperienza di questo nostro generoso connazionale. Dovremmo evitare, infatti, che la sua vicenda rimanga confinata negli annali di un meritorio premio della bontà o di qualche onorificenza, come quella che il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha deciso di attribuirgli. In effetti, se il medico di Emergency ce l’ha fatta è stato grazie all’utilizzo di costosissimi farmaci, molti dei quali oggi ancora in fase sperimentale, a cui purtroppo non hanno ancora accesso coloro che in Africa avrebbero bisogno di essere sottoposti a simili terapie. Tutto ciò ci induce a pensare che se le periferie del mondo, usando il lessico di Papa Francesco, dove colpiscono duramente queste epidemie, disponessero di investimenti nell’ambito della salute, sia dal punto di vista infrastrutturale sia a livello di conoscenze mediche e cure farmacologiche, probabilmente non dovremmo piangere così tanti morti, spesso nell’indifferenza diffusa. Attualmente, stando all’Organizzazione Mondiale della Sanità, i decessi sono stati 7.905 e il numero dei casi accertati è superiore ai ventimila, con il rischio di un’ulteriore diffusione del virus. Ecco che allora l’affermazione del diritto alla salute diventa una priorità nell’agenda della cooperazione tra Nord e Sud del mondo, considerando con quanto ritardo la comunità internazionale si è mobilitata al momento dell’esplosione di questa orribile e disastrosa peste del Terzo millennio. Una cosa è certa: agire con tempestività ed efficacia contro ebola non riguarda solo la tutela della salute di chi vive alle nostre latitudini – quasi che la vita umana non avesse ovunque lo stesso valore –, ma è un imperativo che accomuna tutta l’umanità.
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