lunedì 26 ottobre 2015
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Gentile direttore, dovremmo sempre dar fiducia ai giovani, anche quando sembrano sprovveduti o fragili. Ecco due storie di questi giorni, svoltesi una dopo l’altra. Mi hanno fatto sorridere e pensare come donna e come pediatra. Chiama un giovane: vuol fissare una visita per il neonato appena arrivato in casa. Non ricordo la gravidanza della giovane moglie. «Sai – dice il neo-papà – siamo andati a prenderlo all’ospedale. L’abbiamo in adozione». Sorrido al telefono e nasce un sentimento di ammirazione. «L’hanno abbandonato – continua il papà – perché è Down!». Silenzio imbarazzante da parte mia. “Bravi, che coraggio!” riesco a dire, mentre si presentano nella mente le future fatiche per il bimbo e i neo-genitori. Il giorno della visita arrivano contenti. I loro occhi sono brillanti, felici. Al mio sguardo sembrano incoscienti o forse sprovveduti. Il bimbo è bellissimo: occhi azzurro cielo, capelli biondi-rossicci, un musetto con lievi segni della sindrome. Bello! E porta un nome dolcissimo. I genitori sono eccitati, contenti, ridono di qualunque gesto il bambino compia. Li guardo, cerco di non commuovermi. Non hanno neppure trent’anni e hanno deciso di farsi carico di un bimbo fragile, sfortunato, disabile. Li ammiro. Alcuni giorni dopo è fissata un’altra visita di un neonato. I genitori sono miei ex-bambini, cioè li ho assistiti anni fa. Lui diciannovenne, lei minorenne. Partiamo in salita, penso, quando la nonna mi spiega la situazione. Il giorno del controllo il giovane papà entra sorridente, spavaldo: «Ciao dottoressa, ti ricordi di me? Ero bambino e ora sono qui come papà!». Non so se ridere di questa sfrontatezza, leggera incoscienza o sorridere. Opto per la seconda ipotesi. Lei è minuta, timida e un po’ imbarazzata. Compirà 16 anni fra pochi giorni. Mamma appena quindicenne! Faccio un grosso respiro, prima di parlare. Sento che si aspettano qualche parola per questa gravidanza improvvisa. Il Consultorio ha fatto un buon percorso alla genitorialità ai ragazzi. Speriamo. «Sapete ragazzi – è bello che questa bimba sia nata... avrebbe potuto non nascere... ma ora è qui e noi l’aiuteremo a crescere bene. Mi preoccupano sempre i genitori molto giovani, così come i genitori vecchi, esempio i quarantenni (i ragazzi sorridono e seguono attenti) e tu (rivolgendomi alla ragazzina) potresti avere... l’età di Maria, quando ha partorito Gesù... giovanissima anche lei, ma ce l’ha fatta! E quindi... sei in buona compagnia!». Ripeto questa frase dettami da un amico prete, al quale avevo manifestato la mia preoccupazione per questa giovanissima coppia. Ridono i ragazzi; ora sono rilassati. Possiamo iniziare la visita. Guardano questi tre chili scarsi di vita, che si muovono sul lettino, con occhi estasiati e innamorati. Ripetono ad alta voce le mie indicazioni e si correggono a vicenda sui grammi di crescita dei giorni passati. Li ammiro per il coraggio e l’incoscienza. Mi sorprendo a pensare che basta un po’ di fiducia e di sostegno e degli adolescenti si trasformano in attenti genitori. Sento che vogliono diventare genitori, vogliono farcela. La neomamma mi riferisce contenta che dopo cinque giorni compirà 16 anni e quindi potrà firmare il documento di riconoscimento della figlia. Cerco di non commuovermi. Noi adulti dobbiamo veramente fiducia alle giovani generazioni, sostenere il loro coraggio o talvolta la loro spavalderia, anche quando il maturo realismo degli adulti lo negherebbe. Gli occhi scintillanti e contenti di queste due giovani coppie sono il segno che la vita deve essere sempre sostenuta, qualunque essa sia e in qualunque modo venga alla luce, nel nostro Paese talvolta stanco e privo di speranza. Saranno storie in salita, lo sanno questi quattro giovani genitori, ma saranno storie belle, perché ricche di amore per la vita. Anche se fragili. Anche se inaspettate.
 
Una pediatra ancora sorpresa dalla vita
 
Ho ricevuto questa bellissima lettera pochi giorni prima che si riunisse il Sinodo sulla famiglia. E credo che non ci sia bisogno di spiegare perché l’ho tenuta in serbo. Perché ho aspettato per pubblicarla questa comunque luminosa domenica di ottobre nella quale si compie solennemente il “penultimo” passo di un cammino che ha coinvolto, come mai prima, tutto il popolo cristiano – pastori e fedeli – in tempi e modi che papa Francesco ha sottolineato sabato scorso, celebrando i 50 anni dello strumento sinodale. Non intendo aggiungere molto alle parole della dottoressa, che resta anonima solo per preservare l’intimità delle persone coinvolte nelle due splendide storie di vita e di famiglia che ci ha regalato. Dico solo che, leggendo, mi sono commosso. E che sono tornato a leggere più volte questa pagina fitta e coinvolgente, scoprendo che le luci accese dagli occhi e dalle scelte di giovani capaci di maternità e paternità consapevoli e coraggiose mi riempivano ogni volta degli stessi sentimenti di gratitudine, di serenità, di speranza. Davvero l’accoglienza cambia la vita. E ogni giudizio, su qualsiasi condizione umana e qualsiasi errore, deve cominciare – come ci è stato insegnato da Cristo stesso – solo dopo aver ascoltato e guardato negli occhi l’altro, gli altri, che non sono mai “categoria”, ma uniche e speciali scintille dell’unica verità.
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