giovedì 28 aprile 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
Ormai è inevitabile che la Spagna torni alle urne dopo il fallimento di ogni tentativo di intesa tra le forze politiche dopo le elezioni del 22 dicembre. A termini costituzionali il re Filippo VI scioglierà le camere e indirà nuove elezioni per il 26 giugno. La Spagna non ha una tradizione di coalizioni di governo, l’ultimo esecutivo con più partiti è stato quello del 1936 di Fronte popolare, che fu rovesciato dal pronunciamento militare che diede origine alla guerra civile e poi alla lunga dittatura di Francisco Franco. Il ritorno alla democrazia vide patti politici rilevanti, a cominciare da quello che diede origine alla nuova Costituzione, ma i governi furono sempre costituiti dal partito vincitore delle elezioni, anche perché – quando esso non otteneva seggi sufficienti – i partiti minori di tipo territoriale hanno sempre scelto di sostenere (ricambiati) gli esecutivi di Popolari o Socialisti. La legge elettorale spagnola è stata costruita per favorire il bipolarismo, visto che contiene un meccanismo (i seggi vengono attribuiti nei singoli collegi provinciali senza recupero nazionale dei resti) che opera una correzione maggioritaria implicita a favore del partito più votato. Il quadro politico tradizionale, imperniato sull’alternanza tra popolari e socialisti è stato però terremotato dall’apparizione di nuove formazioni, Ciudadanos al centrodestra in competizione con il Pp e Podemos a sinistra in competizione con il Psoe, il che ha reso impossibile la formazione di un governo che non fosse basato su una coalizione che, in qualche modo, vedesse una convergenza tra gli avversari storici, appunto i popolari e i socialisti. Fin dall’inizio, il leader popolare e presidente del governo in funzione per gli affari correnti Mariano Rajoy ha dichiarato che senza un accordo con il Psoe non averebbe potuto accettare un’investitura e per questo ha rifiutato quella che gli era stata proposta dal capo dello stato. Il leader socialista Pedro Sanchez, per parte sua, ha puntato a mettere insieme tutte le forze alla sinistra del Partito popolare, è arrivato a insultare Rajoy definendolo «un uomo politico indecente», ma non è riuscito nel suo intento e ieri ha ammesso di aver sbagliato ad attaccare Rajoy in quel modo. Le nuove votazioni si svolgeranno il 26 giugno, tre giorni dopo il referendum britannico, quindi in un clima particolarmente teso per le sorti dell’Unione Europea. In ogni caso è difficile che la ripetizione del voto dopo sei mesi cambi molto profondamente il panorama politico che si è delineato, anche se naturalmente le impressioni che gli elettori hanno ricevuto dal comportamento dei partiti durante questa fase di stallo avranno un certo peso. Gli analisti prevedono un calo della partecipazione al voto, che dovrebbe pesare soprattutto sulle formazioni di sinistra. La competizione tra socialisti e Podemos per la conquista del secondo posto resta aperta, anche perché Podemos includerà nelle sue liste anche i candidati di Izquierda unida, la formazione postcomunista che nelle elezioni di dicembre si era presentata da sola. Tra i due partiti moderati la gara non sarà per la conquista del primo posto, visto che i popolari hanno più del doppio dei consensi di Ciudadanos, ma sarà comunque aspra, anche se poi, quando si dovrà fare i conti con l’esigenza di creare una coalizione, le ostilità dovranno cessare. E qui verrà di nuovo il difficile. In quasi tutta Europa, anche per l’emergere di partiti di protesta originati dalla crisi economica e sociale, si è arrivati a governi di coalizione, nella precedente legislatura ce n’è stato persino uno tra conservatori e liberali in Gran Bretagna, dove non si erano mai visti governi pluripartitici in tempo di pace. La Spagna, con ogni probabilità, sarà costretta a seguire questo esempio, che è stato definito un po’ con disprezzo e un po’ con ammirazione «italiano». E dovrà riuscirci se vuole reggere ai rischi di disfacimento istituzionale connessi alla sfida indipendentista catalana.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: