mercoledì 3 giugno 2020
Le proposte della viceministra degli Esteri e del presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa: Stati, organizzazioni pubbliche, private e umanitarie siano uniti
Bambini in fila a Johannesburg, Sudafrica, per ricevere aiuti alimentari

Bambini in fila a Johannesburg, Sudafrica, per ricevere aiuti alimentari - Ansa

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Caro direttore,

non v’è dubbio che per combattere i nuovi fronti del contagio nei Paesi fragili si debba estendere la solidarietà oltre le frontiere: se non agissimo nell’ambito della cooperazione globale, rischieremmo ondate ricorrenti di Covid-19 nei vari Stati del mondo, con imprevedibili conseguenze che potrebbero imporre l’adozione di misure di ri-contenimento, e potrebbero avviare una recessione economica permanente. Per questo motivo il concetto di 'solidarietà' viene evocato spesso nella sua accezione soprattutto politica, in risposta alla pandemia in atto.

In Africa, Medio Oriente, Centro e Sud America, la curva delle infezioni è in aumento soprattutto nei contesti fragili. Siamo ormai consapevoli che, come ha affermato il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, il virus resterà in circolazione per molto tempo, e questo ci impone di agire subito e con coerenza. Guardando alla situazione da un punto di vista globale, emerge, stando ai dati dell’Oms, che un terzo dei Paesi nel mondo non dispone di un sistema di riferimento clinico per il trattamento dei pazienti affetti da Covid-19, e che solo il 48% dei Paesi dispone di un programma di prevenzione e controllo delle infezioni, di procedure igieniche standard e di trattamento dell’acqua nei centri sanitari. Il quadro umanitario è già devastante, e questa pandemia in molti luoghi inasprisce le condizioni di vita delle famiglie che da sempre lottano per soddisfare bisogni fondamentali, dall’alloggio al cibo, all’acqua, alle cure mediche.

Nei territori dove la guerra ha imperversato per anni, peraltro, la possibilità di rispondere adeguatamente al virus è scarsa o nulla. Negli ultimi mesi, i combattimenti in molte aree sono addirittura aumentati: basta guardare al Sahel o alla Libia dove assistiamo a un’intensificazione della violenza, all’aumento degli sfollati e all’indebolimento dei sistemi sanitari, con un conseguente innalzamento del rischio di diffusione del Covid-19. Sono più di 70 milioni le persone costrette alla fuga a causa dei conflitti. Appare evidente che la diffusione della pandemia nei campi ipercongestionati dei rifugiati e degli sfollati, dove è forte la promiscuità, avrebbe effetti rovinosi. Un effetto gravissimo dei combattimenti sul terreno e dei bombardamenti nelle aree abitate è la distruzione delle infrastrutture urbane: in alcuni luoghi gli ospedali vengono attaccati e diventano inaccessibili, in altri funzionano a malapena; la distruzione o il malfunzionamento dei sistemi idrici e fognari comporta che le malattie infettive – colera, morbillo, tifo o altro – possono diffondersi di nuovo. La risposta della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa è aumentata al fine di proteggere le comunità vulnerabili, attraverso diverse azioni: pre-posizionando medicinali e attrezzature, riabilitando i sistemi idrici e igienico-sanitari nei campi e nelle strutture detentive, assistendo le autorità locali nella predisposizione di piani di emergenza nel caso di un alto numero di vittime, per garantire che malati e vittime siano trattati con dignità.

Misure, queste, che a breve termine possono salvare vite umane. Ma quello che nel lungo termine farà la differenza è la prevenzione di future ondate pandemiche, che si può mettere in atto consolidando le infrastrutture essenziali nei Paesi fragili. Se il consolidamento delle infrastrutture essenziali appare azione ovvia in Paesi come l’Italia o la Svizzera, non lo è nei contesti fragili, dove non esistono reti di protezione, né di tipo sanitario né di tipo economico. Si stima peraltro che le misure di lockdown potrebbero avere un forte impatto negativo su coloro che lavorano nell’economia informale, perché la restrizione del movimento comporta l’impossibilità di guadagnarsi da vivere. Non esiste un’opzione sussistenza contro salute: se queste popolazioni, già rese fragili dai conflitti, sprofondassero ulteriormente nella miseria, sarebbero ancora più esposte alle malattie. Emerge una ulteriore preoccupazione: la sicurezza alimentare. È una questione che merita una risposta forte e immediata, perché mette ulteriormente in pericolo la salute e i mezzi di sussistenza di centinaia di milioni di persone, soprattutto in contesti fragili: i segnali di un’interruzione delle catene di approvvigionamento alimentare sono già visibili man mano che i Paesi moltiplicano le misure per arrestare la pandemia. Quandanche l’Africa registrasse un minor impatto del Covid-19, il continente dovrà affrontare un disastro economico, per non parlare del forte calo degli investimenti esteri diretti, delle rimesse, dell’aumento dei prezzi delle materie prime di base e della volatilità dei tassi di cambio.

L'Italia sostiene i meccanismi per facilitare il contrasto alla prevista crisi alimentare. La comunità internazionale, con una collaborazione attiva e stretta delle agenzie delle Nazioni Unite con sede a Roma (Fao, Ifad e Pam), sta creando una vera e propria «food coalition» (alleanza del cibo), una piattaforma concreta e dinamica che consente lo scambio di buone pratiche per mitigare l’effetto nefasto sul piano socio-economico del Covid-19 sulla disponibilità e la distribuzione del cibo. Senza un’azione concertata e coordinata, molti Paesi rischiano di vanificare decenni di progresso e sviluppo. Per evitare questo scenario, è essenziale che i governi agiscano in stretta collaborazione con il settore privato, le organizzazioni umanitarie e della società civile, le comunità locali e le diaspore. Tutti possono svolgere un ruolo fondamentale nel generare nuove opportunità di sostentamento e nell’adattare le risposte socio-economiche al contesto comunitario.

I governi stanno agendo in chiave nazionale, ma abbiamo bisogno di una risposta globale che affronti i punti chiave. 1) Approntare una risposta globale che affronti da un lato l’emergenza e dall’altro rafforzi i paesi fragili nel ridurre le tensioni tra la risposta sanitaria e le esigenze economiche. 2) Garantire– ove possibile – che i finanziamenti che sostengono la risposta Covid-19 vadano oltre la riallocazione di fondi esistenti per gli aiuti. Abbiamo visto che trascurare il sostegno ad altri servizi sanitari oltre al COVID può comportare molti più morti del coronavirus a causa di impatti secondari. 3) Adottare un approccio coordinato multi-stakeholder che mobilita capitali pubblici e privati, attori istituzionali (Stati, Organizzazioni internazionali, Istituzioni finanziarie internazionali). 4) Rafforzarela cooperazione tra Stati consentendo la produzione e la libera circolazione di beni e attrezzature mediche, compresi i dispositivi di protezione individuale, affinché vadano dove è più necessario. Le catene globali di approvvigionamento alimentare devono essere tenute aperte. 5) Fare in modo che l’assistenza e la protezione umanitaria non si fermino di fronte alla pandemia. L’accesso umanitario è una priorità assoluta, come ripetutamente affermato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ove in grado di rispettare tutte le precauzioni sanitarie, gli operatori umanitari devono avere accesso sicuro alle popolazioni in stato di bisogno. 6) Assicurare equità e che nessun Paese venga discriminato. «Il mondo deve essere unito di fronte a questa sfida e dobbiamo assicurarci che il vaccino, quando arriverà, sia per tutti, non solo per i pochi», ha affermato il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio nel suo appello a favore di un’alleanza internazionale per il vaccino.

Un appello che indica la stessa direzione - «vaccini Covid-19 di dominio pubblico» - proposta dall’appello di illustri intellettuali guidati dal premio Nobel Muhammad Yunus e dal presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali Stefano Zamagni sostenuto e lanciato da 'Avvenire', 'La Croix' e 'Nederlands Dagblad'. Chiediamo agli Stati, alle organizzazioni pubbliche, private e umanitarie di essere unite. È nostro dovere aiutare i Paesi che già combattono per fornire assistenza sanitaria alle proprie comunità, in particolare a quelle più vulnerabili. Ma è anche evidentemente nostro interesse. Nessuno di noi è al sicuro finché non siamo tutti al sicuro.

Del Re è viceministra degli Esteri e della Cooperazione internazionale

Maurer è presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa

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